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Immenso! Non ci sono altri aggettivi per definire questo romanzo. Roth è un grande, riesce a spiegare la questione israelo-palestinese con passione e facilità a dispetto di migliaia e migliaia di saggi sull'argomento.
I precedenti romanzi letti di Roth mi avevano lasciato un giudizio positivo sull'autore: nemesi più di tutti, con un uomo schiacciato dal peso da lui stesso assegnato alle proprie responsabilità. Ho fatto invece fatica a terminare la controvita, composto per la maggior parte di riflessioni e interrogativi sull'ebraismo.
La scrittura di questo immenso autore è di quelle che non danno tregua. Roth non dà tregua al lettore così come non la dà a se stesso, nel suo eterno scavo, nella discesa al secondo e al terzo e al quarto e ai successivi livelli della coscienza dei suoi personaggi, impegnati disumanamente in una eterna autoanalisi. Forse il tema di fondo, la ricerca vera e propria condotta dall'autore sta nello sviscerare il significato ultimo del suo mestiere, l'infinita possibilità di moltiplicare le scelte e quindi le vite dei suoi personaggi, giocando con le loro identità, concedendo loro delle seconde chance, dei ritorni nel passato e delle correzioni che a noi, viventi del mondo reale, non sono concessi. Zuckerman/Roth con La Controvita pare quasi voler espiare la colpa originale di Lamento di Portonoy che gli costò un doloroso dissidio familiare che non si sanò fino alla morte dei genitori, e lo fa marcando in modo netto la differenza di significato tra l'essere ebrei negli accoglienti Stati Uniti, nella sprezzante e apertamente razzista Europa, nell'assediato e ferito Isralele. Ma i personaggi, il significato del loro agire, emerge in modo così prepotente dalle pagine che incasellare la storia in un genere o elencarne le tematiche sarebbe colpevolmente riduttivo.
Recensioni
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A metà del romanzo, nel capitolo intitolato In volo, Nathan Zuckerman uno dei personaggi più persistenti e metamorfici della narrativa di Philip Roth, a partire da Lo scrittore fantasma (Einaudi, 2002), Pastorale americana (Einaudi, 1998), fino a Il fantasma esce di scena (Einaudi, 2008) viene coinvolto da un giovane ebreo ortodosso nel dirottamento di un aereo diretto da Tel Aviv a Londra. L'episodio mescola tragedia e farsa, cronaca terroristica e pantomima ebraica, ed è fulcro di un racconto dove ogni tracciato narrativo è destinato a rovesciarsi nel suo contrario (o, forse meglio, nella sua immagine speculare, uguale e contraria); così come è destinata a essere messa in discussione ogni forma di identità imposta dalla società o dalla storia ("La tua 'identità' è semplicemente dove decidi di smettere di pensare").
Il dirottamento inscenato esprime un aberrante imperativo: "Dimenticate di ricordare!" è la scritta in stampatello che il dirottatore Jimmy impone di tenere sulle ginocchia al malcapitato Zuckerman. Chiudere il Museo di Gerusalemme e la Sala della rimembranza dell'Olocausto deve diventare la premessa indispensabile per affermare la forza del popolo ebraico nell'essere considerato come tale e avere una terra. "Non siamo più un popolo con una ferita tormentata e un'orribile cicatrice", sostiene Jimmy, il matto, personaggio che assomma in sé le stravaganti provocazioni dei performers ebrei alle strategie del terrorismo. "Sionismo senza Auschwitz! Giudaismo senza vittime! Il passato è passato! Noi viviamo!" sono gli slogan finali della sua grande provocazione, l'essenza di quello che egli definisce "la profezia come sta scritta nei Cinque Libri di Jimmy".
La paradossale profezia diventa allora una solenne contro-profezia in linea con l'impostazione del romanzo, e basata non sulla riemersione del tempo e della memoria nella definizione di un futuro, come in molte profezie letterarie, ma sulla sua cancellazione, sulla necessità di "disfare la storia" invece di prenderne coscienza. Il diktat di Jimmy si trova però nel contempo a essere rovesciato a sua volta, nel momento in cui la furia del personale di volo li scopre e si scatena in interrogatori e torture su di lui e su Zuckerman, entrambi perquisiti fin quasi nelle viscere e depositati nudi nuovamente a Tel Aviv, "nella Terra Promessa". Si evoca così lo spettro della forza in due direzioni uguali e contrarie: quella di una visione pantografata dell'ortodossia ebraica, da una parte, e, dall'altra, di una rimossa logica antisemita che teme quella stessa forza e si placa soltanto di fronte a forme di normalizzazione o di ostinato controllo.
Per quanto raccapricciante, la bomba che minaccia di fare esplodere Jimmy è perciò soltanto un exploit performativo, che mira a colpire al cuore la sedimentata normalità di una visione univoca delle cose. Pensiamo anche all'entrata in scena di Merry, la figlia terrorista di Seymour Levov in Pastorale americana. La scrittura, in generale, gioca su questo potere performativo, nel suo muoversi sempre in una direzione e nel suo senso contrario, con vettori contrastanti di forze creative e distruttive. È questa la logica di fondo su cui il romanzo agisce, attraverso il farsi e il disfarsi degli intrecci e nelle riflessioni dello scrittore Zuckerman.
Prima di arrivare alla distorsione di una prospettiva univoca e lineare parlando dal punto di vista della morte, come negli ultimi libri (Everyman, Einaudi, 2007; Il fantasma esce di scena; Indignazione, Einaudi, 2009), infatti, in questo romanzo (ora in traduzione italiana ma scritto nel 1988) Roth si affida a una costruzione testuale molto sofisticata all'interno di quella che potremmo definire una reversibilità speculare: tra i cinque capitoli, il primo (Basilea) si specchia nel quarto (Gloucestershire), il secondo (Giudea) nel quinto (Cristianità), mentre al terzo sono affidati la sospensione del volo e il colpo di teatro del dirottamento. Tra la Svizzera e l'Inghilterra, tra la cultura ebraica e quella cattolica in tutte le loro infinite sfumature, promesse, contraddizioni e aberrazioni, c'è l'America, New York e Newark, come centro di tutto il movimento e implicito punto di osservazione. Da una parte il mondo dell'ideologia, della politica, della storia, delle identità imposte; dall'altra, senza soluzione di continuità, l'irriducibile vita, con il sesso come pulsione essenziale. Al centro il personaggio dell'ebreo come simbolo di instabilità e fulcro di contraddizioni.
La stessa vicenda è vissuta due volte da Henry, integerrimo dentista, e dal provocatorio scrittore di Carnovsky Nathan Zuckerman, fratelli, amici affettuosi in conflitto, con due visioni del mondo e due prospettive pressoché opposte e sempre reciprocamente critiche. Nathan ha paura dell'attaccamento alla realtà di Henry; ed Henry ha paura dell'immaginazione di Nathan, "il suo uso dell'iperbole comica che minava insidiosamente alla base tutto ciò che sceglieva di toccare". Eppure, sono reversibili: "Henry è solo uno Zuckerman andato fuori di testa tardivamente". Una volta è Henry a morire, a non cavarsela dopo un'operazione al cuore per recuperare la virilità perduta, per ritrovare il suo equilibrio tra la moglie Carol, l'amante-assistente Wendy e l'amica-innamorata di un tempo, Maria, con cui sogna di vivere in Europa, a Basilea; un'altra volta è il vitale (scatenato
) Zuckerman a morire sottoponendosi a una delicata operazione al cuore per fare a meno dei farmaci che l'hanno reso impotente, sposare e amare Maria, con la quale aveva stabilito un'intensa relazione platonico-romantica ("L'uomo che ha fatto tante ironie sulle smanie del corpo
senza corpo. Tutto a rovescio, e sterile e stupido"). Che la prima storia, realisticamente incompatibile con la seconda, sia parzialmente falsa lo scopriamo insieme a Henry, quando trova il manoscritto di Nathan che ci conduce al finale del libro ricucendolo al suo inizio. E così una volta è la religione ebraica a essere al centro dell'interesse, nella parte in cui Henry redivivo fugge a Gerusalemme per seguire il culto ebraico ortodosso e Nathan lo insegue "nel cuore di tenebra ebraico", "dal caffè di Tel Aviv e dall'acido duolo dello scorato Shuki verso l'interno del paese", fino all'incontro con Lippman, "l'inflessibile capo", il "Kurtz della Giudea" nei panni "di un Achab sionista"; mentre alla fine, specularmente, è la religione cattolica per quanto non riesca a provocare la stessa accorata partecipazione che suscita in Roth l'ebraismo a suscitare domande e sentimenti contradditori, dalla promessa di felicità dei canti natalizi fino all'imbarazzante antisemitismo della madre di Maria, austera signora del Gloucestershire.
Una storia non soltanto vissuta ma anche narrata due volte, dove il secondo tracciato rende apparentemente contraddittorio il primo, come spesso avviene nelle narrazioni di Roth, ma che lo rende al tempo stesso originale, intrigante, tridimensionale e autocritico fino allo sfinimento. E Zuckerman, che si definisce "un ebreo tra i gentili e un gentile tra gli ebrei", con la sua capacità di disancorarsi da qualsiasi etichetta identitaria e da qualsiasi gabbia familiare e amorosa anche quando ne sembra subire il gran fascino, incoercibile scrittore fastidioso ("Questo dissacratore insidioso e impenitente [
] quest'uomo che metteva la gente a disagio e la faceva imbestialire"), ne resta il migliore performer, anche da morto. Chiara Lombardi
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