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Racconta Sciascia che cominciò a scrivere questo romanzo come un «divertimento» – e presto gli si trasformò fra le mani in qualcosa di terribilmente serio. In un paese non nominato eppure a noi tutti familiare, una successione di assassinii e di funerali ufficiali scandisce la vita pubblica. Con assoluta chiarezza, ma su un fondo tenebroso, si disegna in questa storia la fisionomia di un anonimo protagonista, quel potere che – nelle parole di Sciascia – «sempre più digrada nella impenetrabile forma di una concatenazione che approssimativamente possiamo dire mafiosa». Il contesto apparve nel 1971 (ma fu scritto prima dell’omicidio Scaglione, tenne a precisare Sciascia) e venne accolto dalla critica con malcelato imbarazzo. Oggi riconosciamo in esso il primo rendiconto sobrio e veritiero di un’Italia da cui pare che nessuno sappia come uscire.
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Piaccia o meno, senza Sciascia la letteratura italiana del '900 sarebbe molto più povera. Certe banalità vanno sottolineate di tanto in tanto.
Recensioni
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recensione di Papuzzi, A., L'Indice 1994, n. 9
Quando uscì nel 1971, nei deliziosi "Coralli" einaudiani, "Il contesto" di Sciascia poteva apparire un racconto di fantapolitica, giocato sul filo d'una corrosiva ironia. Riletto oggi desta un'impressionante sensazione di veridicità, sebbene i fatti e i personaggi, in virtù della scrittura sciasciana, restino un'ombra al di là del reale, come se il giudizio restasse sospeso. Non hanno per così dire messo i piedi a terra: sono contemporaneamente veri e metafisici. Possiedono esattamente la surreale naturalezza del capannello di autorità, tratto da un dipinto di George Toocker, che illustra la copertina della Nuova edizione adelphiana dell'opera. Ma non è altrettanto ambigua la realtà che in queste pagine si rispecchia e che abbiamo cominciato a scoprire soltanto assai di recente? Che cosa ci può essere di più surreale e metafisico di un famoso uomo politico e di governo che finisce coinvolto nei più gravi scandali e nelle più oscure trame della vita italiana? Ecco perché, scorrendo avidamente le pagine del "Contesto", il lettore di oggi non può fare a meno di dirsi: "Dio santo, aveva capito davvero tutto".
Attenzione: non perché la storia anticipi dall'A alla Zeta quanto è accaduto negli anni successivi, ma perché riproduce il paradossale equilibrio fra cronaca nera e teatro dell'assurdo che è la cifra delle nostre vicende politiche. Verrebbe da dire che, dagli opposti estremismi ai servizi deviati, la lotta per il potere si sia modellata sugli archetipi allestiti dallo scrittore siciliano, come vuote ed essenziali architetture che la realtà si sarebbe incaricata di riempire. Non bisogna dimenticare che "Il contesto" aveva come sottotitolo "Una parodia", vale a dire "travestimento comico di un'opera seria" sulla situazione politica sia italiana sia internazionale a cui Sciascia avrebbe voluto por mano, come si legge in una nota finale dello stesso autore: doveva essere cioè un divertimento, utilizzando i clichés del romanzo poliziesco; ma a un certo punto "la storia cominciò a muoversi in un paese del tutto immaginario; un paese dove non avevano più corso le idee, dove i principi - ancora proclamati e conclamati - venivano quotidianamente irrisi, dove le ideologie si riducevano in politica a pure denominazioni nel giuoco delle parti che il potere si assegnava, dove soltanto il potere per il potere contava". Quindi erano le forme del potere l'oggetto della parodia, collocate in un universo fantastico privo d'una precisa identità, come dimostrano anche i nomi dei personaggi del "Contesto", vanamente ispanici: Rogas, Cres, Nocio, Galano e così via. Non la Sicilia, non l'Italia ma luoghi e ambienti che potessero essere l'una e l'altra senza esserlo. Bravissimi sono stati però ministri, politici, direttori di polizia, alti magistrati, mediatori di mafia e chi più ne ha più ne metta, che rappresentano il potere nel nostro paese, a rincorrere Sciascia e a sistemarsi comodamente nei suoi archetipi, prima e dopo le ultime elezioni.
Un poliziotto indaga su una lunga serie di omicidi di magistrati. Chi è l'assassino? L'inchiesta è intralciata da censure dall'alto: il poliziotto capisce di essere finito in un osceno labirinto - come scrive Massimo Onofri nella sua bella "Storia di Sciascia", "offerto in pasto al minotauro del potere". Non diremo come va a finire, visto che sul piano formale si tratta comunque d'un poliziesco. Ma il vero obiettivo di Rogas è un enigma più profondo di qualsiasi omicidio e riguarda il potere. Basti una citazione, dal discorso di un ministro, uno dei tanti potenti che fanno pressione su Rogas: "Nel nostro sistema il crisma del potere è il disprezzo. Gli uomini del signor Amar stanno facendo di tutto per meritarlo: e lo avranno. E, una volta che lo avranno, sapranno come fare per legittimarlo. Perché il sistema consente di arrivare al potere col disprezzo; ma è l'iniquità, l'esercizio dell'iniquità, che lo legittima...". Non si può certo riscoprire oggi "Il contesto" di Sciascia: esiste una densa letteratura critica a cui è possibile attingere (e di cui Onofri dà conto). Ma il tempismo di Adelphi nel riproporlo è straordinario, perché questo è l'allucinante romanzo dell'Italia del 1994, che ne sonda l'anima più oscura: la forza della degradazione come strumento e retorica del potere. Una parodia, appunto.
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