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L'ho trovato gustoso, leggero e scritto in una maniera autenticamente coinvolgente e originale. Ed è soprattutto la scrittura, ancora più che il susseguirsi svolazzante di aneddoti, ricordi, episodi, concatenati in maniera brillante, a distinguerlo dalla media degli scrittori emergenti italiani. Anche le riflessioni non sono per niente banali, e per di più focalizzano uno spaccato, un contesto socio-culturale dell'Italia che più o meno tutti conosciamo per esserci stati (forse più indirettamente che in prima persona, visto lo status dei protagonisti), di cui sicuramente tutti subiamo le conseguenze, trattandosi della classe dirigente dei giorni nostri. Forse solo nella seconda parte cala un po', quando la rievocazione personale vira dagli "altri" al "se stesso", ma le ultime pagine sono scoppiettanti. Insomma, non so se Piperno sia uno scrittore di talento, ma sicuramente "Con le peggiori intenzioni" è un romanzo di (grande) talento.
Piperno e' un assoluto narciso, scrive per autocompiacersi della sua conoscenza della lingua, in modo asettico, ridondante di paroloni astrusi, soporifero.. Era meglio se non lo terminavo, ho perso tempo nella speranza che almeno uno dei suoi personaggi negativi pensasse o combinasse qualcosa di positivo! Che delusione! Insopportabile anche la miriade di apostrofi che utilizza!
Non è certo una lettura da ombrellone ma tantè...per me lo è stata. Leggendo le prime 20 pagine mi sembrava di affogare: il linguaggio molto aulico e le citazioni astruse parevano sopraffarmi. E poi, la rivelazione, sono riuscita a prendere il ritmo, non dovevo più rileggere le frasi per capirle, anzi le leggevo in velocità per vedere che altro piccolo capolavoro mi aspettava. Era da tanto che non leggevo un libro così...appagante, ironico e intelligente. Non è di facile lettura, è vero, ma stringete i denti per un po' e poi, ne sarete conquistati!
Recensioni
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"Nathan, il tuo racconto, per quanto riguarda i gentili, è su una cosa e una cosa sola – dice accorato il padre al giovane Zuckerman nello Scrittore fantasma di Philip Roth. – È sui giudei. Sui giudei e sulla loro sete di denaro". Il romanzo di esordio di Alessandro Piperno, invece, è su tutt'altro: è sul complesso d'inferiorità, sulla frustrazione sessuale e sulla sete di rivalsa che un giovane aspirante scrittore riversa nelle pagine della letteratura, destinata a riscattare le sconfitte della sua vita.
"Questa è la storia della festa di Gaia" dichiara in maniera eloquente la quarta di copertina, riprendendo uno dei passi iniziali dell'ultimo, lunghissimo, capitolo. Più di ottanta pagine che conducono verso la scena primaria in cui la storia culmina: il giovane Daniel Sonnino colto ad annusare le mutande dell'irraggiungibile Gaia, nel bagno di camera sua, la sera della festa dei suoi diciotto anni. La conseguenza è la "cacciata dall'Eden", ovvero, ci dice il narratore, ormai giunti a p. 223, "la storia che sin dal principio io m'ero proposto di raccontare, prima di perdermi in un labirinto d'inutili dietrologie".
Daniel sa quello che dice e ama mostrare a chi legge di sapere molto bene quello che fa. Come quando – dopo aver irritato il lettore disseminando a piene mani avverbi in -mente (basti la coppia "imbarazzantemente sgrammaticata", "imprevedibilmente imbarazzante") – verso la fine del libro si confessa apertamente "predisposto all'abuso avverbiale" e ne perora la causa: "è come se l'avverbio s'incaricasse di preparare la grande entrée dell'aggettivo sul palcoscenico della frase".
D'altronde, l'aveva dichiarato fin dall'inizio che "l'idea del mezzo ebreo incazzato con gli ebrei" era "un po' vecchiotta forse, ma sempre in auge". Un topos: proprio come quello della saga familiare che prende le mosse dal funerale del patriarca e passa in rassegna i principali componenti della schiatta. Il nonno biscazziere che prima ha fatto fortuna e poi è caduto in rovina; lo zio contestatore emigrato in Israele; il padre, "albino affetto da gigantismo", elegantissimo e sempre in viaggio per lavoro, tanto da rappresentare "la versione altolocata dell'ebreo errante". A caratterizzare la famiglia non è certo l'appartenenza religiosa, quanto piuttosto una positiva e concreta estroversione: "i Sonnino – è bene tenerlo a mente – sono allergici all'interiorità". Tutto il contrario di quel ciarliero masochistico autocommiseratore di Dani-Dedalus, incapace di stabilire, come gli altri, un "rapporto sfacciatamente convesso" col mondo che lo circonda e anzi rinserrato in una "ottusa concavità".
Piperno ha il passo del narratore di razza e i suoi personaggi si stagliano nitidi dall'affresco, ognuno coi suoi tratti ben delineati, anche nell'aspetto fisico (l'apoteosi è la descrizione di Gaia, in cui si concede "il più inebriante e demodé tra i privilegi letterari: l'ecfrasi della donna amata"). Sa cogliere il "fluorescente splendore" della bellezza adolescenziale e il sapore di una bocca "impastata dei microrganismi dell'angoscia". Sa rendere il senso di un personaggio minore con una similitudine indovinata ("il viso di Giorgio ricordava quei rumori di fondo del cui disturbo ti rendi conto allorché improvvisamente cessano di molestarti"). Scrivendo come un romanziere d'altri tempi, può anche permettersi di dire allorché, cessare e molestare: tocchi vintage che non stonano nell'architettura tradizionale dell'insieme. Perché Piperno prende molto sul serio la letteratura, si vede: ha in mente modelli alti e lavora su quelli.
Ma non può essere altro che il frutto di postmoderna ironia l'evidente – verrebbe da dire eroicomica – sproporzione tra quell'affollato presepe di parenti e amici e la ridicola tragedia personale che viene posta al centro del quadro. Tra l'articolato dipanarsi di due alberi genealogici paralleli (l'altro è quello dei Cittadini, i cattolici – ancor più ricchi – antenati di Gaia) e la trascurabile pochezza della vicenda a cui fanno da prologo. "I Sonnino non c'entrano. I Cittadini non c'entrano. Gli ebrei non c'entrano. I cattolici non c'entrano": è solo la vicenda di un brutto anatroccolo ("l'intellettualino della classe", il "quattrocchi", "nano in abito scuro") che viene rifiutato dal frivolo mondo dei ricchi ("la gente mostra una naturale indulgenza per la bellezza e una cronica irritazione per lo sforzo intellettuale"). Non gli resta, allora, che diventare il miglior amico dell'idolo della scuola (Dav, lo svedese dei Parioli "smagliante controfigura di Tom Cruise" dalla "personalità spumeggiante e convessa") e al tempo stesso "il groupie personale di Gaia; il suo occhialuto adoratore che non la scoperà mai". Fingere di ignorare che i due stanno insieme e sublimare il pansesessualismo di "tutto quel nutrito segmento di arrapatissimi ebrei che unisce Sigmund Freud a Philiph Roth" nel sogno del romanzo vagheggiato per quasi vent'anni. "Cosa penserà Gaia Cittadini di me? Questa domanda aveva la stessa disperata intonazione di quella che mi sarei rivolto molti anni dopo sull'effetto che i miei scritti avrebbero potuto produrre su qualche crudele e indifferente editore di massa".
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