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Un bricco di caffè, la luce di un astro, i granelli della polvere, le strade bianche. Uno sguardo preciso sulla quotidianità e su chi la anima, tra il disincanto e la desolazione. A ragione questa raccolta di poesie è stata accostata ai quadri di Edward Hopper, silenziosi e struggenti. Da leggere!
Si è parlato, per definire la poesia e la prosa di Simic, di “magiche alchimie combinatorie”, di detriti, macerie, piccoli oggetti dimenticati, precipitati in un tempo assoluto, che però, celando in loro un’“enciclopedia di archetipi”, ci raggiungono nella parola poetica come luce di astri immersi in camaleontici anacronismi. Una parola, quella di Simic, che diventa man mano ‘nome del tempo’, scavo metafisico, ironia e sberleffo della caducità, del divenire. Nella lucidità, nella chiarezza di una mente vigile. Sobrietà ed ebbrezza, fuoco e cristallo tuttavia si alternano, e la percorrono, così come il volto del poeta mentre recita i suoi versi: immobile di fronte al destino, ai Schicksalsschläge, ai colpi della sventura, sembra una colomba bianca protetta fra i palmi della mano. La madre di Eleazar Benyoëtz – aforista erede di Seume, Lichtenberg, Kraus – gli diceva di “non camminare a piedi nudi sul duro terreno dei fatti”; ed il figlio inventò un “non-genere” fatto di poesia e aforisma fusi in una creazione unica, di pochissime parole. In un’atmosfera differente, Charles Simic fa la medesima cosa di Benyoëtz, e di Nicolás Gómez Dávila, il Nietzsche sudamericano. Cerca con poche parole, non più di un velo, di raccontare la dura realtà del mondo, confidando che poesia ed aforisma siano sempre la via più breve verso il prossimo.
Leggendo questa antologia di versi dell' americano Charles Simic, che Adelphi gli ha dedicato definendolo "uno dei maggiori poeti contemporanei", caratterizzato da "un inconfondibile impasto di mistero e quotidianità" e dalla "trasparenza della parola", balzano alla mente le sacrosante parole che il critico Alfonso Berardinelli ha coraggiosamente scritto in un suo saggio ("Leggere è un rischio"): "Anche per la poesia è poi arrivato dagli Stati Uniti lo stile da 'creative writing', che permette di produrre diligentemente una poesia al giorno buttando l'occhio sulle pareti della propria stanza, sul bricco del tè, sui movimenti dei vicini di casa: niente rime, meglio evitare la punteggiatura, il verso venga indicato dal semplice andare a capo, usare molto gli spazi bianchi che sono sempre suggestivi". Quindi, scrittura piana, immediata, che nasce da uno sguardo impassibile ma puntuale su esterni e interni fisici e mentali. Berardinelli pensava anche a Simic scrivendo quello che ha scritto? Gli interni ci sono: "La lampada sul comodino/ si impegnava a conferire/ alla stanza un'aria di mistero"; "Quanti minuti/ in un bicchier d'acqua/ accanto al letto?"; "Parlami dei granelli di polvere/ posati sul mio comodino"; "e le voci/ difficili da distinguere all'inizio/ anche se premo l'orecchio contro la parete". E gli esterni: "Alcune case appena pignorate/ con finestre color delle pozzanghere/ che stanno per gelare, i cortili soffocati/ di erbacce e auto arrugginite". E tanta, tanta America desolata: tavole calde deserte, ubriaconi e giocatori d'azzardo, strade polverose osservate con disincantato occhio fotografico. Come nella poesia più bella del libro, "Autostoppisti", un po' Easy Rider un po' Simon and Garfunkel: "Lei lavorerà come domestica o cameriera,/ lui farà il benzinaio o assalterà banche./ Compreranno una macchina grande come un carro funebre/ per fuggire lontano veloci,/ ma non si scorderanno di tirarti su, amico,/ se anche a te non andrà tanto bene".
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