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Anno edizione: 2022
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Maria Iervolino, narratrice esterna, porta il lettore nelle atmosfere di un apparentemente tranquillo paese di 40 anni fa, vicino Napoli, ma lontano dalla sua modernità e in un flusso narrativo che attraversa i decenni dagli anni ’70 al 2010, restituisce le atmosfere di un passato ancora troppo vicino e dagli usi e costumi tanto antiquati da poter apparire forzati se non fosse che in tanti e tante quelle atmosfere le abbiamo vissuti personalmente o nei racconti dei “più grandi”. A Roccapianola, tutto è fermo come in un eterno passato, alle ragazze viene proibito tutto, persino studiare e la loro vita è già pianificata, lavoro nei campi e qualcuno che le sposi. Le protagoniste, tra tutte in particolare Melina che è animo narrante, sono amiche che come sempre succede, un po’ si inseguono e un po’ si perdono nel fluire della vita che ognuna vorrebbe diversa da quel che sarà. Sullo sfondo un mistero, una cantina e un segreto, intorno la malavita che sta facendosi spazio tra strade e famiglie e inizia a mietere vittime, il tutto nello scenario di una adolescenza che come sempre è puntellata di innamoramenti, di amori, di segreti. Il ritrovamento di un cadavere apre l’onda dei ricordi e dal passato riemergono storie mai dimenticate e speranze spesso negate e soluzioni a tanti perché. Merito dell’autrice è saper usare le parole intrecciandole in pensieri che prendono l’animo di chi legge, in una scrittura che fa della passionalità la sua cifra che restituisce l’idea di donne a volte sconfitte dalla vota, ma che hanno avuto la forza di avere pensieri proprie desideri di futuro in un luogo dove pregnante era il senso di oppressione e soprattutto la necessità di “farsi i fatti propri”. “Il Cimitero delle bambole” è un libro dall’intreccio perfetto e sarebbe davvero riduttivo etichettarlo sotto il genere trhiller o noir, non è nulla di tutto questo, ma la summa della capacità di scrittura di una scrittrice eccellente.
Il Cimitero delle bambole è un tuffo in un passato di saggezza e pregiudizio, di lavoro e pragmatismo, contro cui si scontrano bambine e adolescenti nel camminare i propri passi verso il futuro. Un racconto avvincente con un intreccio degno delle migliori sceneggiature da serie TV, senza mai scadere nella telenovela attraverso banali avvicendamenti creati ad arte per allungare la trama. Non trova inoltre spazio alcuna morbosa descrizione delle vicende intime delle protagoniste. Eppure, oltre le righe, le loro anime urlano tutta la loro insofferenza. Il romanzo benché abbia un approccio umile e avaro di lezioni e considerazioni antropologiche, dice molto più di quello che racconta e apre al lettore un'infinità di porte sulle stanze della riflessione, a lui consentendo un’ analisi dei tempi che furono e di quelli che sono. Un’opera che a fronte della scorrevolezza narrativa necessita di una lettura lenta, lentissima, e che merita l'ascolto dei silenzi delle protagoniste, i silenzi del mondo di quella provincia nel quale è fortemente radicato il nostro presente. Silenzi e Contraddizioni personali e sociali che riverberano nelle nostre esistenze senza soluzione di continuità. Una storia "pensata" in napoletano, non solo in termini di linguaggio, ma anche di azione e intelletto dei personaggi. Chi scrive conosce il mondo di cui parla, non perché i fatti siano o meno reali, ma perché conosce il significato delle parole, delle scelte, e delle azioni dei personaggi e di ciò che li circonda, trascinando il lettore nel contesto spazio-temporale, senza scadere nella banalità o in eccessi che pure si sarebbero prestati alle narrazione. Non c'è spazio per trucchi finalizzati a compiacere né per alimentare il thrilling a dispetto di un indovinato e naturale equilibrio narrativo.
Il Cimitero delle bambole è un tuffo in un passato di saggezza e pregiudizio, di lavoro e pragmatismo, contro cui si scontrano bambine e adolescenti nel camminare i propri passi verso il futuro. Un racconto avvincente con un intreccio degno delle migliori sceneggiature cinematografiche, senza mai scadere nella telenovela attraverso banali avvicendamenti creati ad arte per allungare la trama. Non trova inoltre spazio alcuna morbosa descrizione delle vicende intime delle protagoniste. Eppure, oltre le righe, le loro anime urlano tutta la loro insofferenza. Il romanzo benché abbia un approccio umile e avaro di lezioni e considerazioni antropologiche, dice molto più di quello che racconta e apre al lettore un'infinità di porte sulle stanze della riflessione, a lui consentendo un’ analisi dei tempi che furono e di quelli che sono. Un’opera che a fronte della scorrevolezza narrativa necessita di una lettura lenta, lentissima, e che merita l'ascolto dei silenzi delle protagoniste, i silenzi del mondo di quella provincia nel quale è fortemente radicato il nostro presente. Silenzi e Contraddizioni personali e sociali che riverberano nelle nostre esistenze senza soluzione di continuità. Una storia "pensata" in napoletano, non solo in termini di linguaggio, ma anche di azione e intelletto dei personaggi. Chi scrive conosce il mondo di cui parla, non perché i fatti siano o meno reali, ma perché conosce il significato delle parole, delle scelte, e delle azioni dei personaggi e di ciò che li circonda, trascinando il lettore nel contesto spazio-temporale, senza scadere nella banalità o in eccessi che pure si sarebbero prestati alle narrazione. Non c'è spazio per trucchi finalizzati a compiacere né per alimentare il thrilling a dispetto di un indovinato e naturale equilibrio narrativo.
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