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Anno edizione: 2012
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Titolo: Che cos'è l'arte?Autore: Lev Tolstoj - traduzione e note di Filippo Frassati, introduzione di Pietro MontaniEditore: Donzelli editoreData: 2010Saggine 165, in 16°, bross. edit. ill. con bandelle, OTTIME CONDIZIONI
Un saggio di estetica che demolisce la veridicità di ogni teoria estetica e getta l'anatema sull'arte moderna, da Beethoven a Wagner, da Baudelaire a Verlaine, per salvare solo l'Iliade e l'Odissea, la Bibbia e i Veda. Questo sembra essere, di primo acchito, Che cos'è l'arte? di Lev Tolstoj. La chiusura semplificante e riduttiva nei confronti di ogni forma artistica che non si riduca ai criteri di comprensibilità e chiarezza immediata per il "popolo" può respingere il lettore di oggi e apparirgli una sorta di anticipazione della scomunica di un'arte borghese e degenerata pronunciata mezzo secolo dopo dai teorici del realismo socialista. Qual è il senso e l'attualità della riproposta in traduzione italiana di questo paradossale trattato?
Eppure quest'edizione riempie un vuoto nella percezione dell'opera del grande scrittore russo, la cui produzione saggistica è stata troppo a lungo ignorata in Italia (se si escludono gli studi e le traduzioni curate da Pier Cesare Bori negli anni novanta), e abbatte in modo definitivo, se ancora ce ne fosse bisogno, il vecchio luogo comune, impostosi già fra i contemporanei di Tolstoj, che tendeva a separare il romanziere di genio dal cattivo filosofo.
In queste pagine, che contengono tutte le mai risolte contraddizioni dello scrittore, si fa evidente la sostanziale inscindibilità tra pensiero e immaginazione artistica, la continuità e unità organica del percorso creativo e intellettuale tolstojano, tanto sul piano dei contenuti che degli artifici formali: la descrizione demolitrice e caustica che Tolstoj fa dell'allestimento di un'opera lirica wagneriana è frutto dello stesso sguardo potentemente straniante da cui nascono le sue pagine immortali sulla battaglia di Borodino.
L'acredine con cui Tolstoj si scaglia contro gran parte dell'arte del suo tempo, in una condanna che coinvolge impietosamente i suoi stessi romanzi, va letta e interpretata alla luce della battaglia che lo scrittore sta conducendo contro la cultura della modernità, colpevole di aver reciso le radici religiose dell'arte e della scienza. La rivolta, istintiva e viscerale, contro la civiltà della frammentazione lo accomunava a un ricco filone del pensiero russo sette-ottocentesco che aveva preso le mosse dalla critica alla ragione cartesiana.
Se la pars destruens del trattato va inserita e compresa in questo più ampio contesto, la pars costruens contiene d'altro lato intuizioni di un'apertura sbalorditiva, come rivela l'illuminante saggio di Pietro Montani che introduce l'opera. Nella concezione tolstojana, l'arte realizza una sorta di "dionisiaco spiritualizzato", secondo la bella definizione data da Montani, che attraverso il contagio dei sensi parla all'anima e al suo sostrato religioso, ampliandone le potenzialità espressive.
L'edizione Donzelli è arricchita da un denso apparato di note curato da Filippo Frassati, autore anche della buona traduzione; vi sono individuate in modo puntuale le fonti utilizzate da Tolstoj (lavoro ingrato, come sa chiunque si sia cimentato in traduzioni di opere dei filosofi russi dell'Ottocento) e sono riportate indicazioni bibliografiche, citazioni da lettere e diari che aiutano a contestualizzare l'opera. Se un appunto si può fare: data la complessa storia della genesi e della pubblicazione di questo come di molti altri lavori di Tolstoj, che era solito rimettervi mano per anni, non sarebbe stata superflua l'indicazione dell'edizione originale da cui è stata eseguita la traduzione.
Raffaella Faggionato
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