Compositore. Ebbe la prima istruzione musicale dal padre e dallo zio; nel 1873 si iscrisse al conservatorio di Milano, dove proseguì lo studio della composizione con A. Bazzini. A Milano si svolse tutta la sua attività di compositore e, dal 1890, di insegnante di composizione. Legato agli ambienti della Scapigliatura, sensibile alle inquietudini e ai fermenti di rinnovamento che vi circolavano, C. si dedicò prevalentemente alla musica operistica. La falce (1875), su testo di A. Boito, mostra già alcuni tratti essenziali del suo mondo poetico, che si viene meglio precisando in Elda (1880, libretto di C. d'Ormeville), destinata a diventare, dopo una complessa rielaborazione, una delle opere più significative di C.: Loreley (1890). In essa, l'autore prende spunto dall'antico mito germanico per creare un universo fantastico, ricco di delicate, struggenti suggestioni; ciò che conta non sono le ragioni del dramma o la consistenza umana dei personaggi, ma il libero effondersi di un'ispirazione intimistica e sognante. Pur ricollegandosi alla tradizione italiana, quest'opera (di cui è divenuta famosa la «Danza delle ondine»), assimila nel linguaggio inflessioni francesi, soprattutto da Massenet, e tiene anche presente, nella cura dello strumentale, l'esempio dell'opera tedesca. In La Wally (1892, su libretto di L. Illica), preceduta dai tentativi meno riusciti di Dejanice (1883) e Edmea (1886), il palese intento di creare una maggiore tensione drammatica sembra preludere a una svolta nel gusto e nella ricerca espressiva del compositore; ma la sua evoluzione fu troncata dalla morte. Oltre alle opere teatrali, la produzione di C. comprende una Messa a quattro voci e orchestra, alcuni brani per orchestra, fra cui il poema sinfonico Ero e Leandro (1881), 6 romanze da camera, 10 Impressioni e pochi altri pezzi per pianoforte tra i quali va ricordato A sera (1888), che fu anche trascritto per quartetto d'archi e introdotto nella Wally come preludio al terzo atto. C. avvertì intensamente il momento di transizione, e dunque di crisi e di disagio, attraversato dal melodramma italiano tra l'esaurirsi di una tradizione di cui Ponchielli era stato l'epigono e le prime affermazioni del verismo, mentre l'ultima esperienza verdiana restava isolata e sostanzialmente inaccessibile. Su questo sfondo, la sua opera figura come l'estremo soprassalto di un romanticismo estenuato, ormai incline a toni crepuscolari.