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Libro noioso,scritto " forzatamente" e senza ispirazione,pieno di luoghi comuni e goticismi ridicoli. L'autore non ha la minima cultura musicale né reale conoscenza della tecnica strumentale del violino di cui vorrebbe fare sfoggio ma dalla quale tiene bene alla larga . Romanzo senza azione ne' ,quindi,progressione drammatica. Lasciamo da parte ironia e umorismo : non fanno parte del mondo dell'autore Finale senza finale e senza soluzione .
Sensazione ambigua per un libro che si legge con piacere (lo stile è fluido, il racconto si fa seguire), ma che alla fine lascia poco se non la sensazione di un'occasione persa. Forse alcuni passaggi un po' sbrigativi, alcuni personaggi meritevoli di qualche approfondimento in più e un finale che, per originalità e centralità rispetto all'intera storia, avrebbe meritato qualcosa di più riflessivo e meno frettoloso.
Un testo ricco di pagine di storia e di umanità varia, con una sorprendente componente di mistero. ... Molto ben affrontate da Maurensig tematiche e digressioni relative al valore dell'amicizia e anche ben delineate situazioni storiche/comportamentali a riguardo del periodo precedente la seconda guerra mondiale. Ho trovato suggestiva anche la variabilità dell'io narrante che all'inizio e alla fine del testo è rappresentato da Gustav(l'alchimista,zio di Kuno) poi dallo scrittore e infine dal musicista Jeno/Kuno. Da queste pagine prorompe fortissima una enorme passione per la musica e x le composizioni x violino, così come è evidente la volontà dello scrittore di trasmettere al lettore sensazioni ed emozioni delle più svariate per carpire la personalità e la sensibilità dei protagonisti dell'opera. Brevemente la trama: Vienna anni '90 un misterioso personaggio si aggiudica un antico violino all'asta, la figura enigmatica di cui sopra viene affiancata da un romanziere che chiede lumi sullo strumento appenna acquistato. Inizia un flashback di ricordi con racconti che portano il lettore a leggere di due giovani musicisti iscritti in una delle migliori scuole viennesi e di una forte amicizia tra i due. Il romanzo così va avanti avendo come perno le vicissitudini dei due violinisti e spaziand poi con argomentazioni di carattere storico e personale. Consigliato
Recensioni
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recensione di Moro, C., L'Indice 1996, n.11
(recensione pubblicata per l'edizione del 1996)
Che la musica non sia passione ormai decantata in pura forma ce lo suggerisce, prima che il romanzo di Maurensig, l'Apollo giovinetto che dalla sovraccoperta del libro si appresta a trarre accordi da un violino (o viola da braccio?); è il particolare di una tarda tela di Tiziano nota come "La punizione di Marsia", e solo i toni bruni, la tensione degli impasti rimandano alla scena efferata che qui non si vede: il satiro Marsia, appeso all'ingiù, viene scorticato vivo, colpevole di aver perduto una sfida musicale con il dio delle muse. Il pittore sostituisce la lira apollinea del mito greco con un più moderno strumento ad arco, rendendolo disponibile a simboleggiare quel legame tra musica e dolore, se non tra musica e crudeltà, che attraversa innumerevoli variazioni tematiche per approdare, un po' consumato dall'usura, al best seller di Maurensig. Quasi in omaggio allo sventurato Marsia, sublime flautista capovolto nel supplizio, anche qui domina l'inversione. Nei suoi sensi più palesi e più criptici: dà il titolo al romanzo, con il ricorso a un'espressione tecnica del contrappunto musicale che si scopre fin da subito chiave di lettura; si nasconde come 'en abŒme' - e snobisticamente al riparo dalle nozioni musicali della maggior parte dei lettori - nel moto ascendente dell'ultimo movimento della "Partita II" per violino solo di Bach, la celebre "Ciaccona", che un personaggio suona con virtuosistica perizia; si accampa nel punto di svolta della vicenda, al di là del quale ci s'approssima al disvelamento del mistero; stinge infine in un suo prevedibile succedaneo, il "doppio", che come sempre fa quadrare ogni cosa.
In un'atmosfera composta da perdurante 'finis Austriae' (agonia di inizio secolo che non è mai stata più vispa di oggi, a giudicare dagli incassi), un violino racchiude un enigma che rimbalza e si dilata da uno all'altro dei tre narratori: un ricco amatore, uno scrittore melomane, un vecchio musicista girovago. All'ultimo, Jeno Varga, appartiene la storia: eccolo negli anni venti bambino di talento, erede del prezioso violino lasciatogli da un padre sconosciuto; eccolo adolescente nel Collegium Musicum, la scuola per violinisti più ambita d'Europa, un lager a due passi da Vienna - non immemore per qualche tratto di altri sadici convitti austroungarici alla "Giovane Törless" - dove "piccoli dèi della mediocrità" in veste di insegnanti mortificano a suon di tecnica lo spirito della musica; eccolo nel castello dell'unico amico, l'aristocratico Kuno Blau, luogo di agnizioni fatali, in attesa che parentele e schizofrenie vengano del tutto alla luce. Tra morti redivivi e vivi che usurpano l'identità dei morti, discussioni sull'immortalità e amicizia che s'incaina, alla musica tocca il ruolo pervasivo di "dolore estatico", impresso fin nella positura del violinista, che ricorda una "deposizione dalla Croce". Anche le metafore più tornite sono uditive, dalla terra che cadendo su una bara ne trae cupe risonanze da "cassa armonica", alla grande Storia che si annuncia con il "marziale clangore" della folla nazificata. Ci si chiede però se tanto dispiego di suoni valga a forare la soglia, pur impercettibile, che separa la liuteria dalla letteratura.
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