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Racconta Giancarlo Giannini che Elio Petri lo andò a trovare entusiasta con il trattamento del film perché lo voleva come attore principale ma non sapeva doveva trovare un produttore. Allora l'indomani mattina Giannini andò dai suoi amici della Medusa e glielo propose. Loro chiesero "Ma se ride?" E lui "Si, si, certo". E così si fece dare i soldi per produrlo. Chissà la loro faccia dopo aver visto il risultato finale. Un film sulla fine. Sulla fine delle utopie, sulla fine della vita, sulla fine di un'epoca e forse anche di un certo modo di fare cinema. Come al solito contiene delle premonizioni di quello che poi è stato il futuro, con paesaggi infestati dall'immondizia ed il ritmo quotidiano scandito dai notiziari delle tv che annunciano continuamente attentati e omicidi (le buone notizie appunto). Poco considerato nella produzione di Petri ma sempre di alto livello.
Il protagonista è un grigio funzionario televisivo senza nome. Distaccato, chiuso in una stanza piena di televisori che trasmettono solo brutte notizie, sa di non piacere alla donne perché lui stesso non si piace. Vive un rapporto inesistente con la giovane moglie Fedora, che lo ricambia ignorandolo, e non ha rapporti di amicizia con nessuno. Legge un libro, sempre lo stesso, senza avanzare mai di una sola pagina. La solitudine dell’uomo moderno insomma. L’ultima opera cinematografica di Elio Petri, non capita dalla critica e dal pubblico, che rappresentava una società medializzata dove tutto diventa incorporeo e simulato: gli uomini come gli animali, gli oggetti come i sentimenti.
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