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Non amo particolarmente David Graeber (1961-2020) antropologo e militante anarchico USA. I suoi scritti mi sembrano dispersivi, non riesco a coglierne l’essenza. I “Bullshit Jobs” (per meglio dire lavori di m….) sono un argomento affrontato anche da altri. Per brevità e chiarezza metterei innanzitutto il saggio di Bruno Manghi “Lavori inutili”, ma sono in molti che si sono avventurati alla scoperta di lavori inutili e dannosi: Domenico De Masi, Luciano Gallino, Loren Baritz, Corinne Maier, Anthony Giddens, Zygmunt Bauman, Andrè Gorz, Mauro Boarelli, Dan Kieran, etc. Anche Graeber ne fa un elenco, ma aggiunge un particolare: “Non è il capitalismo in sé a produrre insensatezza, sono invece le ideologie manageriali messe in pratica nelle organizzazioni complesse. Se il managerialismo si intrufola, ci si ritrova con interi settori del personale accademico la cui unica funzione è continuare far girare le ricette managerialiste - strategie, obiettivi di prestazione, revisioni, controlli, valutazioni, strategie rinnovate etc. - che appaiono quasi totalmente o del tutto sconnesse dall'autentica linfa vitale delle università, fatta di insegnamento e istruzione”. Come dire che i santoni del neoliberismo, quelli che ne hanno resa possibile la realizzazione sono i manager. E ancora: ““Efficienza” ha significato investire di un potere sempre maggiore i manager, i superiori e altri presunti “esperti” in materia, di modo che gli effettivi produttori non godono praticamente più di alcuna autonomia. Allo stesso tempo paiono riprodursi senza fine i gradi ed i livelli dei manager.” I manager come braccio armato del neoliberismo. Per Graeber l’unica soluzione realizzabile e possibile è il reddito minimo universale. “E ogni pagamento dovrebbe essere sufficiente, da solo, per mantenersi del tutto incondizionato. Devono riceverlo tutti, perfino le persone che non ne hanno bisogno”
La moltiplicazione di lavori inutili e poco gratificanti è sotto gli occhi di tutti, ma ammettere la loro reale esistenza è un grosso taboo. La crescente diffusione di lavoro fine a se stesso e di nessuna ricchezza per la comunità è sfuggita di mano e sembra in continua crescita. Che fare?
Ovvero come abbiamo ridotto e come ci ha ridotto il lavoro. Dalle parole dell'autore: "quando ci rendiamo conto che per la metà del tempo siamo impegnati in attività del tutto prive di significato o perfino controproducenti la prima reazione consiste nel ribollire di risentimento perché altre persone potrebbero non essere cadute nella stessa trappola. Di conseguenza odio, rancore e sospetto sono diventati il collante che tiene insieme la società; è una situazione disastrosa, che mi auguro possa finire. Se questo libro potrà valere in qualche misura a risolverla, sarà valsa la pena di scriverlo." Di certo vale la pena di leggerlo. Illuminante.
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