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Finalista al Premio Strega 2021
Adriana è come un vento, irrompe sempre nella vita di sua sorella con la forza di una rivelazione. Sono state bambine riottose e complici, figlie di nessuna madre. Ora sono donne cariche di slanci e di sbagli, di delusioni e possibilità, con un'eredità di parole non dette e attenzioni intermittenti. Vivono due grandi amori, sacri e un po' storti, irreparabili come sono a volte gli amori incontrati da giovani. Ma per chi non conosce la lingua dell'affetto è molto difficile aprire il cuore. Con la sapienza e la naturalezza dei grandi scrittori, Donatella Di Pietrantonio ci regala in queste pagine un'emozione calda e sussurrata, che rimarrà con noi a lungo.
«Un altro romanzo intenso, duro e tagliente come un rasoio» - Solange Savagnone, Tv Sorrisi e Canzoni
«Donatella Di Pietrantonio trova la via per continuare le vicende del suo romanzo di successo, articolandole in modo complesso. Legami e scontri sullo sfondo di un paesaggio che si fa personaggio e di un borgo di pescatori solidali» - la Lettura
«Di Pietrantonio appartiene alla leva delle scrittrici che non hanno timore di guardare in faccia il dolore, di toccarlo con mano, di mostrarlo così com'è nella sua scrittura senza orpelli. Il suo timbro personale si può rintracciare nell'azzardo letterario non tanto di esorcizzarlo ma di accoglierlo. Forse per questo le pagine della scrittrice irrompono nella coscienza del lettore prima come spine conficcate in pieno petto e poi come indizi per una possibile salvezza» - Crocifisso Dentello, Il Fatto Quotidiano
«C'era qualcosa in me che chiamava gli abbandoni.»
È il momento più buio della notte, quello che precede l'alba, quando Adriana tempesta alla porta con un neonato tra le braccia. Non si vedevano da un po', e sua sorella nemmeno sapeva che lei aspettasse un figlio. Ma da chi sta scappando? È davvero in pericolo? Adriana porta sempre uno scompiglio vitale, impudente, ma soprattutto una spinta risoluta a guardare in faccia la verità. Anche quella piú scomoda, o troppo amara. Cosí tutt'a un tratto le stanze si riempiono di voci, di dubbi, di domande. Entrando nell'appartamento della sorella e di suo marito, Adriana, arruffata e in fuga, apparente portatrice di disordine, indicherà la crepa su cui poggia quel ma-trimonio: le assenze di Piero, la sua tenerezza, la sua eleganza distaccata, assumono piano piano una valenza tutta diversa. Anni dopo, una telefonata improvvisa costringe la narratrice di questa storia a partire di corsa dalla città francese in cui ha deciso di vivere. Inizia una notte in-terminabile di viaggio – in cui mettere insieme i ricordi –, che la riporterà a Pescara, e precisamente a Borgo Sud, la zona marinara della città. È lí, in quel microcosmo cosí impenetrabile eppure cosí accogliente, con le sue leggi indiscutibili e la sua gente ospitale e rude, che potrà scoprire cos'è realmente successo, e forse fare pace col passato. Donatella Di Pietrantonio torna dopo L'Arminuta con un romanzo teso e intimo, intenso a ogni pagina, capace di tenere insieme emozione e profondità di sguardo.
Proposto da Nadia Fusini al Premio Strega 2021 con la seguente motivazione:Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Da leggere assolutamente dopo l'Arminuta! Il personaggio di Adriana resta nel cuore!
A fine lettura mi sono chiesta che cosa emerge da questo libro che è quello che poi rimane. Una profonda sensibilità umana, la genuinità dei personaggi, i legami che li uniscono. I protagonisti vanno compresi dall'interno del loro essere e del loro agire, non giudicati dall'esterno: sono vivi nella loro veracità. E' una delle peculiarità di questo romanzo, come anche dell'Arminuta, che lo precede nello sviluppo della storia,quindi propria dell'autrice che non delude anche in questa sua produzione.
Storia coinvolgente, forse non al pari del primo volume ma comunque meritevole di lettura.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Una storia che non ripara né conforta, ma che accompagna il lettore nella crudezza e nelle difficoltà dei rapporti, in una famiglia numerosa in cui gli abbracci hanno troppo spesso ceduto il posto alle grida, alle mani; in un matrimonio in cui non ci si riconosce più, nel ricordo di una vita che si vuole tenere stretta, quando ormai è troppo tardi.
Senza cautele né premesse, Donatella Di Pietrantonio ci immerge in un piccolo universo fatto di quotidianità e odori che impregnano la pelle, ci spintona tra le vie strette e indifferenti del borgo di cui, un capitolo dopo l’altro, finiamo per sentirci parte, strattonati come pesi inerti all’interno di una realtà che non ci invita, non ci accoglie, ma ci attrae come l’inevitabile.
Ci ritroviamo lì, immersi, coinvolti senza possibilità di fuga, come la protagonista, che ha sempre tentato di tenersene alla larga; come sua sorella Adriana, che non riesce a fare a meno di buttarsi in quell’umanità che le è familiare, in cui tutti si osservano, si conoscono e si aiutano, non senza giudicarsi.
La schiettezza del linguaggio e dei pensieri è ciò che rende la narrazione così vivida, ciò che ci unisce alla voce narrante, di volta in volta, scossa, indifesa, affranta, feroce.
Dall’ordinarietà della sua vita – quella di una professoressa di lettere, che da Pescara scappa fino in Francia, per lasciare indietro sé stessa e i suoi dolori senza riuscirci – nascono le complicazioni, le ansie e i tormenti in cui veniamo trascinati. La sua figura, senza nome, ci porta con sé, nel suo universo privato e apparentemente sereno, fatto di gesti e consuetudini che hanno il sapore di passato, parole taciute e tenerezze che vengono meno, lo stesso universo dal quale si scatena il brivido, l’irreparabile, la paura, la morte.
La scrittrice ci lascia precipitare al suo fianco in ciò che lei stessa non riesce a gestire, immobili a guardare, con gli abitanti di Borgo Sud, come andrà a finire, se ci sarà un lieto fine o semplicemente se ci sarà una fine. Noi, insieme a lei, non possiamo far altro che aspettare.
Recensione di Stefania Malerba
A cura del Master Professioni e prodotti dell’editoria - Collegio Universitario "Santa Caterina da Siena” in collaborazione con l’Università di Pavia
Torniamo in Abruzzo con l’ultimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio. Avevamo lasciato alcuni anni fa, l’Arminuta e sua sorella Adriana a sguazzare in mare, a purificarsi dai dolori di una vita ingiusta. Mare, acqua simbolo di vita e di quella madre che ad entrambe, per motivi diversi, era stata negata.
Le ritroviamo cresciute, ormai donne adulte, ciascuna con la propria vita lontana dal paese, dalla famiglia e dalla miseria ma non dalle sofferenze e dagli abbandoni.
“C’era qualcosa in me“ inizia la voce narrante “che richiamava gli abbandoni”. Tanto irruente e talvolta ingombrante Adriana, quanto chiusa, come a proteggersi da un mondo che le ha già causato troppo dolore l’altra. Adriana carnale, volitiva, generosa e prepotente si dà alla vita e prende dalla vita a mani piene, come se ogni cosa fosse un risarcimento. La sorella si rifugia nello studio della letteratura, nei libri, nel lavoro, in un amore sbagliato e poi, infine, a Grenoble. Come a voler mettere una distanza fisica tra lei e le origini che sono sempre state così confuse e fonte di vergogna. Adriana invece scava nella miseria dell’animo umano, a volte trovando tenebra e altre invece luce e si rifugia a Borgo Sud, accozzaglia di baracche di pescatori e malavita alla periferia di Pescara. Pescara, città dalle architetture moderne e dalle nuove geometrie, nasconde un cuore così vitale e così marcio allo stesso tempo.
La voce narrante, racconterà, al capezzale di Adriana ricoverata in fin di vita dopo essere caduta in circostanze misteriose da una terrazza, le vicissitudini intercorse dalla scena finale in chiusura a “L’Arminuta”: gli anni del liceo e dell’università, il fidanzamento e il matrimonio, un novo abbandono, la morte di quella che le era toccata come madre biologica e poi di nuovo abbandoni, partenze, rotture e sofferenze. In tutto questo Adriana a tenerla in vita, a metterla davanti alla vita, lei così pratica, carnale e materiale. Tutto il contrario della sorella. Lo Ying e lo Yang, il giorno e la notte, amore e odio. Come se fossero l’una la parte mancante dell’altra.
Il finale resta aperto come nel primo libro, forse per dar seguito ad un continuum o forse perché non tutto deve essere necessariamente svelato.
Ritroviamo il dialetto forte e pungente che già ci aveva accompagnati ne “L’Arminuta”, una sorta di marchio di fabbrica di questa moderna fiumana del progresso che, come nei personaggi verghiani, non riuscirà mai a riscattarsi e a modificare pienamente il proprio destino.
Consigliato se amate le saghe familiari e le narrazioni non edulcorate.
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