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Ad Amelie Nothomb
Sì, lo so, lei se ne infischia.
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11/7/2003.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il piacere di avere a che fare con una persona originale. Il racconto autobiografico ci consegna a questa bambina e ci accompagna nella sua mirabolante crescita. Il solito stile stringato ed efficace.
Un altro splendido libro di Nothomb. Autobiografico esattamente come La metafisica dei tubi e Stupore e tremori (tra cui si colloca). La sua scrittura mi incanta sempre.
Altro capolavoro indiscusso col uno stile riconoscibile tra mille. Incredibile il mix equilibrato ed impeccabile di momenti comici e momenti di profondo dramma, raccontati in maniera estremamente vivida. Sicuramente tra i migliori lavori di questa incredibile scrittrice.
Recensioni
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“Ubriacarmi d’acqua era la mia felicità mistica e non danneggiava nessuno. Non esisteva alcuna esperienza che mi soddisfacesse tanto, dandomi la prova dell’esistenza di una generosità realmente inestinguibile. In un mondo in cui tutto era contato, dove anche le porzioni più esagerate mi sembravano dettate da un razionamento, l’unico infinito affidabile era l’acqua, rubinetto aperto sulla sorgente eterna. Non so se la potomania fosse una malattia del mio corpo. Ci vedrei piuttosto la salute della mia anima: non era forse la metafora fisiologica del mio bisogno d’assoluto?”
La fame è universale, è storia, è vita. Sulla fame sono nate intere evolutissime civiltà (perché no, quella cinese, tra le molte), con la fame convivono miliardi di persone. Fame obbligata e fame voluta. Su entrambe la Nothomb è una vera esperta. “La fame sono io”, scrive all’inizio di uno dei primi capitoletti del romanzo. La biografia della fame non può che essere la sua autobiografia. Per chi ha già letto titoli come Stupore e tremori, La metafisica dei tubi o Antichrista è una conferma. Per i lettori che non la conoscono è un buon punto di partenza, una ottima chiave di lettura per capire i temi che attraversano tutta la sua opera. E per intuire l’uso di un certo tipo di linguaggio che la caratterizza: un francese costruito “alla giapponese”, che non è neppure belga, è “altro” e ricorda un po’ il franponese inventato nell’infanzia di cui l’autrice è affamata come del cibo, dei luoghi, del clima del Paese del Sol Levante. Questa caratteristica, che inevitabilmente si perde nella traduzione italiana, è una delle componenti principali del suo strepitoso successo in Francia, oltre alle tematiche originali, raramente percorse prima da scrittori della sua generazione: il rapporto con il Giappone, la sofferenza di un’adolescenza difficile e nomade, al traino di un padre diplomatico trasferito dal Giappone alla Cina, da New York al Bangladesh alla Birmania, al Laos, la forte attrazione per una certa vena masochistica dell’esistenza e dei comportamenti umani, l’autopunizione di una anoressia scelta, voluta, corteggiata sino al limite della morte a soli 13 anni, e poi combattuta dal fisico contro la mente, dalla passione contro l’intelletto (“la mia testa si arrese, il mio corpo si ribellò contro la mia testa. Rifiutò la morte”).
Amélie Nothomb è una autrice di culto in Francia e lo sta diventando anche nel nostro Paese. Corretta e seria nei suoi rapporti con la prima casa editrice italiana che l’ha scoperta e tradotta, Voland, non ha mai abbandonato questo marchio per passare a un altro con maggiore diffusione e visibilità. Non ne ha bisogno. E la Voland ha fatto un accordo con la Guanda che sta ripubblicando i titoli già editi dell’autrice belga, in edizione economica nelle Fenici Tascabili, ma mantenendo, con buona pace di tutti, ogni diritto di pubblicazione delle sue opere. Disponibile a incontrare il pubblico, a rispondere a ogni domanda, con pazienza, è anche sommersa di doni (strana abitudine dei suoi fans, poco diffusa in ambito letterario), pensieri, fotografie, e-mail. Non è cinica né scostante, e neppure fredda. Il suo dark è limitato a un certo aspetto, che non fa “paura”. Non è minuta come può apparire in fotografia, è “normalmente” pallida, come lo sono tante donne europee, non si atteggia a scrittrice maledetta, sorride spesso e ha l’aria consapevole e matura di una donna della sua età, non più giovanissima. È un’autrice che ha scritto 55 romanzi ma ne ha pubblicati molti meno, dunque è anche dotata di una certa dose di autocritica che le fa scegliere con attenzione tra i suoi testi quelli più adatti alla pubblicazione, forse quelli più riusciti e completi.
Ha una passione letteraria compulsiva: legge ogni tipo di autore, è curiosa di tutto. E la sua formazione di lettrice ha radici “antiche”, come lei stessa racconta proprio in questo libro. Incredibile che i suoi libri pre-adolescenziali siano stati I miserabili, La cire verte di Colette, Il padiglione d’oro di Mishima, La certosa di Parma, L’altrui mestiere, Se questo è un uomo, La metamorfosi di Kafka e Le ragazze da marito di Montherlant.
Torniamo alla fame per riprendere in chiusura l’inizio della biografia: probabilmente, come scrive la Nothomb, l’unico popolo che non conosce la fame è quello delle isole dell’arcipelago Vanuatu (un luogo che “sembra quasi non interessi a nessuno”), dove non manca nulla, dove il nutrimento si trova senza fatica, e la vita è talmente facile da diventare noiosa. Tutto ciò che arriva da quella parte di mondo è insipido, privo di personalità e interesse. Perché? Perché “quella gente non sogna il cibo”, non ha mai avuto fame, dalla notte dei tempi. Sarà davvero così? La fame è l’essenza della vita, della creatività, del passato e del futuro?
A cura di Wuz.it
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