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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2013
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Un lento e faticoso viaggio a ritroso nella memoria, nei ricordi sbiaditi, nelle fotografie consumate, in vecchi documenti. Parole e immagini scorrono davanti a noi anche se spesso non correlate. Il flusso dei pensieri vaga e ci porta in strane direzioni apparentemente senza ragione, ma c'è sempre una ragione, che improvvisamente prende forma.
Nella sala d'attesa "dei passi perduti" non resta che afferrare il lembo prescritto di ciò che ci protegge, quello che nessuno può toglierci, l'ala seppur stinta e provata di un volo che ancora ci sospinge. Vale per questo libro un'unica frase assoluta, uno di quei pensieri che timbrano da soli interezza e spirito di ciò che leggiamo: "E non potremmo immaginare di avere appuntamenti anche nel passato?". Basta prenderla come l'unico filo di legame nel poetico dedalo del racconto e si capirà pian piano ogni sibilo di fiato che lo guida, ogni lieve o sfumata traccia di percorso. Piovono spazi e tempi nelle cantine della memoria rompendo vetri e muri a tenerci distanti. Il vero passato non abdica mai. Può riflettersi negli specchi enormi di una stazione ad Anversa, può fasi largo con chiarezza enorme fra smalti e architetture di costruzioni perfette, fino a giungere al folle dramma della felicità di un lager a cinque stelle, il luogo della menzogna riuscita, l'alba di un domani promesso e realizzato, la miseria del raziocinio elevata ad eden crematorio. Questo per dire che dietro e dentro un edificio c'è sempre un ritratto che aspetta, che freme e tace e spera d'essere detto, l'alito che aspetta un alito che lo narri, antitesi selvaggia fra male e necessità di svelarlo, perchè niente può tenere "quella sensazione di ripudio e annientamento che da sempre avevo represso e che ora sgorgava prepotente dal mio animo". Così si tengono per mano pagine di sublime densità saggistica con la necessità di una seplice carezza, quella verso i genitori perduti. Operazione che a Sebald riesce fino a vertici di compimento sommo, fra lacrime di attesa lungo un campo di papaveri nazisti che ancora annienta nei vapori del narrare. Sfiorare un castello "in formato francobollo" ala fine è questa magia di echi e di ritorni a sè eternamente viva, presente, nel mondo "dove forse sogna anche la lattuga in giardino, quando di notte leva lo sguardo alla luna". Libro perfetto.
No, vabbè, non posso tollerarlo. Non posso credere che ci siano tutte queste recensioni positive. Non è sicuramente un romanzo, né un saggio. Per me non è altro che un pallosissimo flusso di coscienza strapieno di osservazioni sugli edifici (perché il protagonista è un architetto), senza dialoghi, senza azioni, senza avvenimenti e che non fa emozionare. Non compratelo vi prego, facciamo smettere di pubblicare sta roba
Recensioni
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È il 1967 quando il personaggio che ci racconta questa storia fa la conoscenza di Jacques Austerlitz nella Salle de pas perdus, alla stazione centrale di Anversa. È il primo di molti incontri, spesso casuali, in diverse città d’Europa, l’inizio di un’amicizia e allo stesso tempo di un sofferto racconto che si protrarrà per oltre trent’anni.
Austerlitz è uno storico dell’architettura, profondo conoscitore dell’Ottocento, ha il talento di saper leggere sugli edifici e sui luoghi gli eventi e le intenzioni degli uomini negli anni e i secoli trascorsi.
Eppure Austerlitz non conosce il suo passato né la sua identità. Pellegrino sulle orme di se stesso, attraversa paesi, strade, campagne fino a scoprire l’origine dei propri fantasmi nella storia di un treno arrivato in Inghilterra dall’Europa continentale negli anni quaranta.
Ultimo libro e forse unico vero romanzo di W.G. Sebald, pubblicato pochi mesi prima della sua tragica scomparsa, Austerlitz racconta uno dei più grandi traumi del Novecento attraverso la lente della sua rimozione e la fatica di ritrovare ciò che è stato nelle macerie rimaste.
Il respiro ampio e avvolgente della scrittura si fonde con lo spirito evocativo delle fotografie e le illustrazioni, rese tutt’uno col testo, “quasi le immagini avessero anche loro una memoria”, e compongono lo stile grazie al quale Sebald si è reso una delle voci narrative più interessanti dell’ultimo cinquantennio.
Recensione di Gaia Gambini
A cura del Master in Editoria dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori
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