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Tea Ranno ha scritto il suo romanzo più sorprendente, magico e sensuale: ha dato vita a una Dona Flor siciliana e l'ha calata in un'atmosfera fiabesca alla Chocolat; allo stesso tempo, con l'aiuto di un pizzico di realismo magico, ha raccontato una parabola attualissima di coraggio ed emancipazione, di una donna e di una comunità.
«Parola d'ordine ci vuole, mio signore, per accedere alle stanze della vita, parola che squaglia il gelo e splende sparpaglio di bellezze e luce. La sapesse, Vossia, quella parola?».
«Amarusanza» fa lui senza esitazione. E le porte si spalancano e il sole ride e la vita canta.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ho appena finito di leggere #lamurusanza di Tea Ranno. Un libro bello! Sì, bello… che parla della Sicilia e di un piccolo borgo… una storia che si sofferma su temi di grande attualità e che affondano radici nel passato, come l’ecologia, il ruolo delle donne, le dicerie, l’impegno sociale e l’Amore che non conosce la parola fine… che supera la morte… L’Amurusanza, in alcuni tratti, rievoca Don Camillo e Peppone (libro/film che ho tanto amato) ma in chiave moderna… modernissima e allo stesso tempo con sfumature tradizionali. L’alternarsi della lingua italiana a quella sicula porta il lettore - soprattutto siculo - a scorrere le righe col sorriso in volto. Grazie @tearanno per questa “favola” sicula in cui il Bene vince sempre sul male e con #amurusanza… la libertà di ognuno sulle malelingue sempre in agguato! ✍🏻SimonettaS.
Un libro che ti fa innamorare della gentilezza, dell'aiuto, del coraggio e della determinazione. Un libro che assolve e arricchisce l'anima di bellezza.
Un racconto intrigante di donne e uomini, di bontà e cattiveria in cui parole dialettali danno colore e spessore. Echi di scrittori famosi, a partire da Camilleri, risuonano nel romanzo. Mi permetto, però, due annotazioni. Nelle quasi 400 pagine le descrizioni, le metafore, i dialoghi si ripetono come un mantra noiosetto. Il finale, inoltre, mi lascia perplessa: il sindaco dittatore e ladrone poteva, a mio sommesso avviso, meritare una fine peggiore. 🌸
Recensioni
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Il romanzo di Tea Ranno, L’amurusanza (355 pagine, 18,50 euro), pubblicato da Mondadori, è coinvolgente e interessante sia per il contenuto, purtroppo sempre attuale, sia per lo stile adeguato al contesto. La collusione tra mafia e potere politico è il filo conduttore della narrazione, purtroppo frequente soprattutto, non solo nella nostra Sicilia, però alla fine anche tra quella “cricca” che collabora con il sindaco Occhi Janchi nel malaffare, sino al punto da far morire Costanzo, marito della “tabbacchera”, di crepacuore per la prepotenza che si vuole praticare contro la sua terra e la sua villa, si erge “l’amurusanza”, proposta e praticata proprio dalla bella e desiderata Agata che, ispirata dall’anima del marito, riesce a far nascere il dissenso, la rivolta che porterà al sorgere di una nuova società, dove l’amicizia, il rispetto, la comprensione e soprattutto la legalità regneranno sovrani.
Bello il costante paragone con la corte di Itaca, dove gli spasimanti di Agata diventano i Proci; Costanzo, Ulisse che alla fine anche se oniricamente, torna; Agata, Penelope che scuce la tela del malaffare con saggezza e prudenza, per poi tessere nel contesto sociale “l’amurusanza”. E il sindaco Occhi Janchi in questa Odissea contemporanea con quale personaggio mitico è possibile identificarlo? Ottima la scelta dell’autrice: Pallante, pluripersonaggio mitologico, infatti è Titano, ma anche uno dei figli di Licaone, re d’Arcadia, oltreché figlio di Evandro ed eponimo del Palatino e poi portano ancora lo stesso nome due personaggi non più legati alle leggende arcade-romane, ma a quelle attiche: il primo è un Gigante, padre, secondo certi autori, della dea Atena, il secondo, figlio minore di Pandione; isomma è come se Tea Ranno volesse indicare attraverso tale metaforico pseudonimo, la pluralità delle maschere che il mafioso sindaco sapeva e poteva assumere.
Bellezza fisica di cui Agata era superdotata, sensualità e sesso sono altri temi ricorrenti nel testo, fautori nel paese delle chiacchiere da caffè e dell’interazione in genere, tra uomini e donne, pertanto non è per caso che la bella Agata, rimasta sola a gestire la tabaccheria, diviene l’oggetto del desiderio, delle fantasie erotiche dei maschi, «ma nella mente sua c’è Costanzo, le parole di Costanzo, la rabbia di Costanzo…” (cap.3, pag.32). Proprio per tale motivo,“a colpi di poesia”, così come il marito comunista voleva e con “amurusanza” riesce a ottenere in paese l’agognato rinnovamento del vivere sociale.
Interessante anche lo stile che l’autrice in posizione eterodiegetica, propone, infatti in un contesto in cui fabula ed intreccio, tranne brevi flashback, coincidono, la struttura sintattica spesso è quella del siciliano e non solo, la narrazione è talvolta colorita da parole dialettali o da termini salaci che spesso adornano il nostro dialogare quotidiano. Sia lo stile, sia per certi aspetti, il contenuto ricordano molto i romanzi di Camilleri, che, soprattutto se prescindiamo dal carattere poliziesco delle sue narrazioni, ama proporre caratteristiche estetico-formali e contesti affini.
Recensione di Francesca Luzzio
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