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La storia della nostra politica dal 2011 ad oggi raccontata in modo coinvolgente. Friedman scrive veramente bene, non è mai noioso. Gli scoop sono meno eclatanti di quanto la stampa ha voluto farci credere, ma è interessante sentire i resoconti delle sue interviste di persona con personaggi come Prodi, D'alema, Monti, Berlusconi. La ricetta per salvare l'italia è quella che oggi indicano tutti, ma nessuno ha il coraggio di mettere in pratica. Molto vicina alle proposte di Fare per Fermare il Declino e a quelle di Corrado Passera. L'italia ha bisogno di un profondo cambiamento. dismissione di patrimonio pubblico, tagli alla spesa, taglio del cuneo fiscale, liberalizzazioni, focalizzazione sul merito. Unico neo: l'autore fa finta di credere alla sincerità di Berlusconi, quando questi recita le stesse ricette liberiste che non ha mai attuato quando avrebbe potuto. Eppure Alan Friedman non può aver dimenticato quanto disse di lui Montanelli "Berlusconi è il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne."
Il libro è indubbiamente scritto bene e si registra una straordinaria campagna promozionale da parte di Rizzoli e Corriere della sera. Tuttavia, il contenuto "scottante" è pressoché nullo. Dire che di fronte ad una crisi politica dei partiti di Governo, il presidente Napolitano abbia pensato ad un piano alternativo, in una repubblica parlamentare, non è un'eresia ed anzi, accresce la lungimiranza di Napolitano, che c'aveva visto bene, visto che poi il governo si è effettivamente dimesso. Sull'analisi politica, Friedman, fa un attacco secondo me esagerato nei confronti di D'Alema (un capitolo intero, poi ripreso nel finale su Renzi), una incomprensibile benevolenza nei confronti di Berlusconi, ed una marchetta finale, anche questa esagerata a Renzi. Un'analisi da destra e un po' sciatta, ma può essere interessante per qualche spunto. Sulla ricetta, che dire: ormai dicono tutti le stesse cose, basta vedere, chi le farà...
Il titolo del libro si riferisce al capolavoro di Tomasi di Lampedusa ed in particolare al concetto che occorre prima di ogni cosa sconfiggere la mentalità gattopardesca diffusa nel Paese e cioè quell'atteggiamento che dai tempi dell'Unità è disposto a cambiare tutto perché nulla cambi. Concetto che, visto da uno straniero anche se innamorato dell'Italia, è ancor più evidente che a noi che, volenti o nolenti, siamo permeati da quella mentalità. Attraverso una serie di interviste a uomini politici, economisti ed industriali, l'Autore ha potuto farsi un opinione dei problemi che affliggono il nostro Paese ed ha elaborato una strategia in dieci punti per cercare di darvi una soluzione: forse questa è la parte dell'opera che desta maggiori perplessità. Ho anche assistito una diecina di giorni fa ad una presentazione del libro fatta dall'Autore durante la quale ha esposto le sue tesi lasciando inalterati i miei dubbi. Il libro si conclude con un'intervista al Sindaco di Firenze. Friedman nutre la speranza che lui riesca a fare qualcosa nella giusta direzione. Staremo a vedere
Recensioni
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Dove si ferma la storia, riportata nei manuali scolastici, inizia la cronaca. Quella che viene riportate nelle pagine di questo avvincente saggio è però Cronaca con la C maiuscola, scritta da un giornalista di razza, osservatore privilegiato della realtà italiana degli ultimi trent’anni. Alan Friedman, volto noto del giornalismo, di nazionalità americana e giovane collaboratore del presidente Carter, viene inviato in Italia negli anni Ottanta dalle testate economiche per cui collabora, il “Financial Times” di Londra, l’“International Herald Tribune” e il “Wall Street Journal”. È produttore e conduttore di numerosi programmi giornalistici negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Italia, dove vive da molti anni.
Il racconto che Alan Friedman fa della recente storia politica italiana e la sua lettura della situazione economica attuale non smette di incuriosire il pubblico e gli addetti ai lavori, che hanno accolto questo suo ultimo lavoro, quasi un’inchiesta, con un crescente favore. Il motivo è molto semplice: Friedman usa il linguaggio diretto, tipico del giornalismo anglosassone, per descrivere la situazione italiana degli ultimi trent’anni, dalla “Milano da bere” al governo Renzi, illuminando con aneddoti, interviste ai protagonisti, retroscena, i momenti oscuri della nostra storia recente. Da Mario Monti, suo grande amico da quando era Rettore dell’Università Bocconi, a Carlo Azeglio Ciampi, servitore dello Stato sin dai tempi in cui presiedeva la Banca d’Italia, dal Berlusconi delle tv locali ai salotti romani, tutti i grandi personaggi che hanno determinato le sorti della politica italiana sono finiti sotto la lente d’ingrandimento del giornalista americano.
Senza tralasciare nomi, date, luoghi di incontro e anche lobby di appartenenza, Friedman dipinge un quadro chiaroscuro del “salotto buono” dell’imprenditoria italiana e imbastisce una vera e propria inchiesta a tutto tondo che ha come obiettivo rivelare le ragioni di quello che il giornalista considera come la vera piaga della politica italiana: la sua endemica incapacità di cambiamento, la resistenza al nuovo, la conservazione dello “status quo”. Si tratta in fondo dell’atteggiamento tipico di certi italiani che il noto scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha saputo ben descrivere nel romanzo “Il gattopardo”. In quelle pagine il giovane Tancredi, aristocratico prestato alle fila dei garibaldini, dice al suo vecchio zio latifondista di lasciarlo fare, di lasciarlo partecipare a quella finta rivoluzione, perché in Italia “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
“I venti anni alle nostre spalle” – prosegue Friedman citando un’intervista di Ernesto Galli della Loggia al Corriere della Sera – “i venti anni dell’era dominata sì da Berlusconi, ma in cui sulla scena c’erano pure tutti gli altri, pure tutti i suoi avversari, sono stati gli anni perduti della nostra storia repubblicana, i più inconcludenti e i più grigi. Gli anni della nostra dissipazione”. Colpa del Gattopardo? A sentire Friedman sembrerebbe di sì. C’è un solo modo davvero efficace e di certo non più rinviabile per uscire da questa situazione di totale stallo: avere il coraggio di fare delle vere riforme per il Paese. La ricetta del giornalista americano è dettagliata, gli obiettivi ambiziosi, il percorso da seguire impervio, ma alla fine il risultato sarà quello che ormai appare necessario e urgente per la nostra sopravvivenza.
Abbattere il debito pubblico, creare nuovi posti di lavoro, tutelare le fasce più deboli, tagliare le pensioni d’oro, promuovere l’occupazione femminile, ridisegnare la pubblica amministrazione, tagliare gli sprechi della sanità e delle Regioni, istituire una patrimoniale leggera ma equa, liberalizzare i servizi nell’interesse del consumatore, varare una nuova politica industriale di investimenti mirati. L’agenda di governo sembrerebbe già scritta, come un Piano Marshall per avere una crescita duratura. Prima però bisogna ammazzare il gattopardo.
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