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Eletto dal New York Times come il miglior libro del XXI secolo.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Storia che avevo finora snobbato, sia per quanto concerne il libro che per la serie tv … non so quale sia il vero motivo del mio atteggiamento, probabilmente per il fatto che ne parlavano un po' tutti, e, purtroppo, troppe volte sono rimasto deluso quando ho acquistato un libro seguendo la moda del momento. Dopo che «L’amica geniale» è stato decretato il libro del secolo dal «New York Times», ho deciso, almeno questa volta, di seguire l’onda, e devo dire che il libro mi è piaciuto davvero molto nonostante che le aspettative fossero davvero molto alte dopo tutte queste critiche positive e, perciò, era facile rimanerne delusi, ed invece devo ammettere che il libro è scritto molto bene, i personaggi sono tanti e tutti ben caratterizzati, ma non si rischia di perdersi (anche grazie al profilo dei personaggi della storia posto all’inizio del testo, e che, per dire la verità, ho più volte consultato specie per quanto concerne i personaggi secondari), sembra quasi di leggere più una sceneggiatura che un libro per quanto l’autrice sia riuscita a far immergere totalmente nella storia il lettore, sembra di vivere la storia in prima persona, come se si fosse uno dei personaggi del libro. L’autrice riesce bene a descrivere la società in cui si svolge la storia, e riesce a far vivere quegli anni di grandi cambiamenti, ed infatti più i protagonisti della storia diventano grandi più si evolve il contesto sociale ed economico, si sta parlando degli anni ’50: sono diverse le ambizioni ed i sogni di chi ha vissuto la Seconda guerra mondiale in prima persona, e che ancora ricordano cosa significasse vivere durante il periodo fascista, ed i figli di quest’ultimi che guardano avanti e sempre meno al passato. Adesso ho voglia di leggere anche gli altri tre capitoli della storia, solo dopo guarderò le quattro stagioni della serie tv. Davvero un gran bel libro … secondo me non è proprio il migliore del secolo, ma comunque è scritto davvero molto bene.
Questo libro merita, insieme a tutti gli altri, tutto l'hype che ha. Una storia vera, intensa, fatta di comportamenti umani che ciascuno di noi conosce e può dunque riconoscere. Elena, l'Io narrante, a volte mi ha fatto odiare quello che stavo leggendo, ma per incompatibilità caratteriale e mai per motivi legati al testo.
Lettura facile e coinvolgente ma non banale. A tratti mi ricorda i bassifondi descritti da Dickens, ma con contemporaneità e ambientazione italiane
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Due anni fa ho avuto l’onore di partecipare al Premio Strega e il privilegio di farlo senza avere reali possibilità di vittoria, cosa che mi ha permesso di osservare il rito e i suoi effetti con il necessario distacco: nel corso di quei mesi mi colpì in particolare un fatto: quando la favorita era Teresa Ciabatti con La più amata, nella “bolla” del campo letterario, critico ed editoriale, che si allarga fino a blogger e lettori fortissimi, stavano tutti per Paolo Cognetti e Le otto montagne; quando però poi Cognetti ha vinto, sono tornati tutti ciabattiani.
Il fatto è tanto più curioso perché si trattava in entrambi i casi di romanzi eccellenti, firmati da autori di solida fama letteraria: pure, la loro stessa letterarietà veniva messa in dubbio non appena si profilava all’orizzonte la possibilità di un successo commerciale. Le stesse persone che si sperticavano in elogi per lo stile icastico e puntuale del Cognetti dei libri minimum fax, ora erano in prima fila ad affibbiare a quello (invero ancora più compiuto) del Cognetti Einaudi e “stregato” la degradante etichetta di midcult.
Un fatto curioso, se vogliamo. Pure, ho trovato un analogo all’istante: se oggi c’è la gara a derubricare L’amica geniale a decoroso intrattenimento per le masse, qualcuno ricorderà che ai tempi delle “Classifiche di Qualità” Dedalus, meritoria e purtroppo estinta iniziativa che invitava un vasto gruppo di critici, editor e scrittori a votare i migliori libri di ogni trimestre e anno, arrivò primo assoluto, e nessuno ebbe da ridire sul suo star sopra Moresco o De Angelis. E vorrei ben vedere, dato che si tratta di un romanzo che mette in campo un’intelligenza emotiva, e una capacità di narrare in modo emozionante eventi ordinari, che non hanno uguali oggi.
Vanni Santoni
Non c’è lampada che si possa strofinare abbastanza da farne uscire un’amica vera, neppure se questa è un’amica geniale.
Anche andare da Don Achille era proibito, ma lei decise di farlo ugualmente e io le andai dietro. Anzi, fu in quell'occasione che mi convinsi che niente potesse fermarla, e che anzi ogni sua disobbedienza avesse sbocchi che per la meraviglia toglievano il fiato.
Elena Greco – detta Lenuccia – e Raffaella – per tutti Lina , ma per l’amica sarà sempre Lila - lo sanno bene, ed è per questo che l’una si tiene stretta all’altra lungo tutto il corso di una vita.
E le due vite partono parallele, in un rione popolare della Napoli degli anni cinquanta, per poi proseguire lungo traiettorie distinte, inscritte nelle contingenze e nelle scelte dettate da due caratteri diversi.
Elena, la cui voce ci narra la vicenda, la prende alla lontana, e comincia a raccontare sin dall’infanzia e da quei giorni di scuola in cui la maestra tributa continui omaggi all’intelligenza e alla bravura di Lila, bambina alla quale tutto sembra venir facile, spontaneo.
Nella luce di questa sua amica geniale, anticonformista, dall’intelligenza brillante e dal carattere inquieto e selvatico, Elena vive e cresce.
Fuori dalla classe, lontano dai banchi, il mondo è dominato da figure maschili sanguigne, iraconde, temibili. Come quella di Don Achille, babau di cui si favoleggiano gesta crudeli e mitologiche, uomo che vive in un apartamento in cima alla rampa di scale più tetra che ci sia: una rampa che un giorno Lenuccia e Lila si daranno reciprocamente coraggio di salire.
Sono i gesti come questi, o le scorribande finite a sassaiole contro le bande di ragazzi, che consolidano e rendono speciale giorno dopo giorno l’amicizia delle due bambine.
Un’amicizia, appunto, più forte di ogni differenza, e che anzi proprio dalle differenze trae sostentamento e si rafforza. Anche quando Lila è costretta a lasciare gli studi, per i quali era tanto portata, e avviarsi verso le pastoie di un fidanzamento che certamente le andrà stretto, mentre Lenuccia avrà la possibilità di affrancarsi attraverso lo studio dalle miserie cui la sua condizione la condannerebbe.
Il romanzo comincia con la scomparsa di Lila, avvenuta attorno ai settant’anni di età, che spinge Elena a mettersi sulle tracce dell’amica e a ripercorrere, a tutto beneficio del lettore, la storia che le ha unite.
Vividissima è la descrizione della Napoli degli anni cinquanta e alle soglie del boom economico, colta soprattutto nelle luci e negli odori dei quartieri più popolari, e teatro dell’infanzia delle due amiche. Una macondo violenta e meravigliosa per sopravvivere nella quale è necessario vestirsi di una corazza ben spessa, a dispetto delle tenerezze che si possono covare in petto.
E poi, più avanti nel tempo, assistiamo in filigrana all’affermarsi di un costume maligno che – lo intuiamo – degenererà nelle forme criminali della camorra, frutto terribile di quella stessa attitudine.
Il romanzo, pur compiuto e leggibile come storia a sé stante, s’interrompe sulla soglia dei sedici anni di Lenuccia e Lila, per darci appuntamento fra qualche mese, con la seconda puntata di questa saga, che si preannuncia lunga.
Ma chi è Elena Ferrante? L’autrice di “L’amore molesto” è elusiva al punto da aver alimentato un mistero duraturo e coinvolgente nella comunità dei lettori. Goffredo Fofi, che disse un gran bene della prima prova narrativa di Ferrante, è fra coloro che sono stati sospettati di essere la penna dissimulata da uno pseudonimo.
A riprova di questo, è stato fatto notare come le poche interviste realizzate con Ferrante siano praticamente tutte opera di Fofi.
Ma la cospirazione più accreditata è quella che vorrebbe che Elena Ferrante sia in realtà Domenico Starnone. Un’autrice elusiva, irrintracciabile (e forse non è un caso che l’ultimo dei tre libri di cui si compone “Autobiografia erotica di Aristide Gambia” s’intitoli proprio “Le irrintracciabili”). Se non è Starnone, si è anche detto, è senz’altro sua moglie, Anita Raja, traduttrice e consulente editoriale della casa E/O, per la quale Ferrante pubblica.
Il mistero s’infittisce, perché autorevoli critici si sono spesi a cercare al passino sottile alcune analogie stilistiche fra alcuni passaggi nei libri di Starnone (in particolare “Via Gemito”) e altri presenti nei titoli di Ferrante. Nessuno di questi investigatori, a dire il vero, se n’è uscito finora con quella che può essere considerata una “pistola fumante”, e anzi è lo stesso Starnone a smentire seccamente, nel suo ultimo libro, la veridicità delle affermazioni fatte da critici e sedicenti investigatori letterari.
Ma tant’è: vita e letteratura sono anch’esse amiche geniali, e confondono talvolta i propri limiti sfumando reciprocamente l’una nell’altra.
A cura di Wuz.it
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