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Eletto dal New York Times come il miglior libro del XXI secolo.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Libro di una noia di una confusione letteraria di una piattezza unica. Deludentissimo appunto
Elena Ferrante ha scritto una quadrilogia entusiasmante e travolgente. La storia di Elena e Lila, un racconto di amicizia, difficoltà economica e difficoltà a vivere in un luogo che non ti esalta ma ti umilia. Storia di violenza ma anche di riscatto. Storia di donne che lottano. La storia di chi ce l'ha fatta, nel suo piccolo; storia di Napoli, di insoddisfazione ma anche di desiderio, di spinta al cambiamento. Mi è davvero piaciuto. Mi sono commossa e innervosita; in alcune parti il testo è crudo, crudele, arrabbiato, spietato e si sente. Da leggere.
Ma, scusate, come si fa a definirlo un capolavoro ? È un romanzo facile, scorrevole, gradevole, ma nulla più. Prende un po' più di consistenza nella seconda parte, ma non mi da lo stimolo di comprare il secondo volume per vedere come va avanti. Se lo trovo in biblioteca, bene, se no faccio anche a meno. Voto 6 e mezzo
Recensioni
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Due anni fa ho avuto l’onore di partecipare al Premio Strega e il privilegio di farlo senza avere reali possibilità di vittoria, cosa che mi ha permesso di osservare il rito e i suoi effetti con il necessario distacco: nel corso di quei mesi mi colpì in particolare un fatto: quando la favorita era Teresa Ciabatti con La più amata, nella “bolla” del campo letterario, critico ed editoriale, che si allarga fino a blogger e lettori fortissimi, stavano tutti per Paolo Cognetti e Le otto montagne; quando però poi Cognetti ha vinto, sono tornati tutti ciabattiani.
Il fatto è tanto più curioso perché si trattava in entrambi i casi di romanzi eccellenti, firmati da autori di solida fama letteraria: pure, la loro stessa letterarietà veniva messa in dubbio non appena si profilava all’orizzonte la possibilità di un successo commerciale. Le stesse persone che si sperticavano in elogi per lo stile icastico e puntuale del Cognetti dei libri minimum fax, ora erano in prima fila ad affibbiare a quello (invero ancora più compiuto) del Cognetti Einaudi e “stregato” la degradante etichetta di midcult.
Un fatto curioso, se vogliamo. Pure, ho trovato un analogo all’istante: se oggi c’è la gara a derubricare L’amica geniale a decoroso intrattenimento per le masse, qualcuno ricorderà che ai tempi delle “Classifiche di Qualità” Dedalus, meritoria e purtroppo estinta iniziativa che invitava un vasto gruppo di critici, editor e scrittori a votare i migliori libri di ogni trimestre e anno, arrivò primo assoluto, e nessuno ebbe da ridire sul suo star sopra Moresco o De Angelis. E vorrei ben vedere, dato che si tratta di un romanzo che mette in campo un’intelligenza emotiva, e una capacità di narrare in modo emozionante eventi ordinari, che non hanno uguali oggi.
Vanni Santoni
Non c’è lampada che si possa strofinare abbastanza da farne uscire un’amica vera, neppure se questa è un’amica geniale.
Anche andare da Don Achille era proibito, ma lei decise di farlo ugualmente e io le andai dietro. Anzi, fu in quell'occasione che mi convinsi che niente potesse fermarla, e che anzi ogni sua disobbedienza avesse sbocchi che per la meraviglia toglievano il fiato.
Elena Greco – detta Lenuccia – e Raffaella – per tutti Lina , ma per l’amica sarà sempre Lila - lo sanno bene, ed è per questo che l’una si tiene stretta all’altra lungo tutto il corso di una vita.
E le due vite partono parallele, in un rione popolare della Napoli degli anni cinquanta, per poi proseguire lungo traiettorie distinte, inscritte nelle contingenze e nelle scelte dettate da due caratteri diversi.
Elena, la cui voce ci narra la vicenda, la prende alla lontana, e comincia a raccontare sin dall’infanzia e da quei giorni di scuola in cui la maestra tributa continui omaggi all’intelligenza e alla bravura di Lila, bambina alla quale tutto sembra venir facile, spontaneo.
Nella luce di questa sua amica geniale, anticonformista, dall’intelligenza brillante e dal carattere inquieto e selvatico, Elena vive e cresce.
Fuori dalla classe, lontano dai banchi, il mondo è dominato da figure maschili sanguigne, iraconde, temibili. Come quella di Don Achille, babau di cui si favoleggiano gesta crudeli e mitologiche, uomo che vive in un apartamento in cima alla rampa di scale più tetra che ci sia: una rampa che un giorno Lenuccia e Lila si daranno reciprocamente coraggio di salire.
Sono i gesti come questi, o le scorribande finite a sassaiole contro le bande di ragazzi, che consolidano e rendono speciale giorno dopo giorno l’amicizia delle due bambine.
Un’amicizia, appunto, più forte di ogni differenza, e che anzi proprio dalle differenze trae sostentamento e si rafforza. Anche quando Lila è costretta a lasciare gli studi, per i quali era tanto portata, e avviarsi verso le pastoie di un fidanzamento che certamente le andrà stretto, mentre Lenuccia avrà la possibilità di affrancarsi attraverso lo studio dalle miserie cui la sua condizione la condannerebbe.
Il romanzo comincia con la scomparsa di Lila, avvenuta attorno ai settant’anni di età, che spinge Elena a mettersi sulle tracce dell’amica e a ripercorrere, a tutto beneficio del lettore, la storia che le ha unite.
Vividissima è la descrizione della Napoli degli anni cinquanta e alle soglie del boom economico, colta soprattutto nelle luci e negli odori dei quartieri più popolari, e teatro dell’infanzia delle due amiche. Una macondo violenta e meravigliosa per sopravvivere nella quale è necessario vestirsi di una corazza ben spessa, a dispetto delle tenerezze che si possono covare in petto.
E poi, più avanti nel tempo, assistiamo in filigrana all’affermarsi di un costume maligno che – lo intuiamo – degenererà nelle forme criminali della camorra, frutto terribile di quella stessa attitudine.
Il romanzo, pur compiuto e leggibile come storia a sé stante, s’interrompe sulla soglia dei sedici anni di Lenuccia e Lila, per darci appuntamento fra qualche mese, con la seconda puntata di questa saga, che si preannuncia lunga.
Ma chi è Elena Ferrante? L’autrice di “L’amore molesto” è elusiva al punto da aver alimentato un mistero duraturo e coinvolgente nella comunità dei lettori. Goffredo Fofi, che disse un gran bene della prima prova narrativa di Ferrante, è fra coloro che sono stati sospettati di essere la penna dissimulata da uno pseudonimo.
A riprova di questo, è stato fatto notare come le poche interviste realizzate con Ferrante siano praticamente tutte opera di Fofi.
Ma la cospirazione più accreditata è quella che vorrebbe che Elena Ferrante sia in realtà Domenico Starnone. Un’autrice elusiva, irrintracciabile (e forse non è un caso che l’ultimo dei tre libri di cui si compone “Autobiografia erotica di Aristide Gambia” s’intitoli proprio “Le irrintracciabili”). Se non è Starnone, si è anche detto, è senz’altro sua moglie, Anita Raja, traduttrice e consulente editoriale della casa E/O, per la quale Ferrante pubblica.
Il mistero s’infittisce, perché autorevoli critici si sono spesi a cercare al passino sottile alcune analogie stilistiche fra alcuni passaggi nei libri di Starnone (in particolare “Via Gemito”) e altri presenti nei titoli di Ferrante. Nessuno di questi investigatori, a dire il vero, se n’è uscito finora con quella che può essere considerata una “pistola fumante”, e anzi è lo stesso Starnone a smentire seccamente, nel suo ultimo libro, la veridicità delle affermazioni fatte da critici e sedicenti investigatori letterari.
Ma tant’è: vita e letteratura sono anch’esse amiche geniali, e confondono talvolta i propri limiti sfumando reciprocamente l’una nell’altra.
A cura di Wuz.it
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