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Il libro l'ho cercato tra gli scaffali di una libreria, la settimana scorsa. L'ho letto quasi d'un fiato, scoprendo, mentre lo leggevo, che ha avuto un enorme seguito mediatico quando è uscito. Io ne ho sentito parlare solo di recente. Sarà che cinque anni fa certi pensieri non mi sfioravano ancora. L'ho trovato interessante. Perotti non è l'unico a essersi posto certe domande e non è l'unico a proporre certe riflessioni, ma non mi sembra neppure che cerchi di farci credere di essere l'unico uomo illuminato sulla faccia della terra. Il libro cita altri autori, altre esperienze. Penso sia interessante perché, oltre a rilanciare determinate riflessioni, racconta una storia, che, come tutte le storie, racconta un punto di vista, quello di uomo forse non ricco di famiglia, come l'autore tiene a sottolineare, ma certamente benestante. Il pubblico a cui si rivolge è evidentemente un pubblico con un reddito medio-alto (verso la fine del libro, quando si parla del famigerato denaro, i conti vengono fatti su stipendi di 5.000, 3.000 e 1.600 euro mensili, che non sono esattamente gli stipendi medi in Italia). Pur non facendo parte di quel target, ho trovato comunque il libro interessante e penso che possa far riflettere anche chi, sensibile al tema, cerca di sbarcare il lunario con 800/1.000 euro al mese. Tutto sommato, mi verrebbe anche da dire che chi guadagna 800/1.000 euro al mese in un certo senso è avvantaggiato in questa operazione di downshifting rispetto a chi ne guadagna 5.000, perché è già abituato a un costante esercizio di gestione della precarietà. Come diceva Bob Dylan, "when you got nothing, you got nothing to lose". Sarebbe bello un giorno poter scrivere all'autore e dirgli che qualcuno ce l'ha fatta anche con 800/1.000 euro al mese.
Buona l'introduzione legata alle motivazioni che dovrebbero spingere una persona a lottare per un po' più di liberta. Secondo me bisognava specificare sin da subito che il libro era rivolto dai ricconi in su. Mediocre la parte per chi vuole cambiare vita con uno stipendio di 1600 euro (medio ??!!!) diego
"Adesso basta" è un ottimo elemento di rottura, permette al lettore di liberarsi dalla "camicia di forza" cui è costretto dalla società e dal sentimento comune. Ma questo libro (da qui il voto medio da me espresso matematicamente contro l'ottimo voto che trapela dalla recensione scritta) lo si può davvero, realmente e pienamente apprezzare solo dopo aver letto la seconda fatica di Simone Perotti, "Avanti tutta". Prima di giudicare "adesso basta" leggette anche "Avanti tutta" ed ogni pagina del primo libro vi risulterà perfettamente chiara e percorribile.
Recensioni
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Dopo aver fatto il manager per diciannove anni, l'autore di questo manuale per "lasciare il lavoro e cambiare vita" ha scelto di dedicarsi quasi esclusivamente a scrivere e a navigare. Il punto di svolta avviene, racconta Perotti, quando qualche membro dell'esercito di schiavi a cui apparteniamo apre gli occhi e vede: "Vede che così non va, che le ore nel traffico sono alienanti, che la schiavitù del lavoro è un ricatto insopportabile, vede che i sentimenti e le relazioni sono schiacciate in un angolo lontano, vede che l'acquisto dei beni è solo un produttore di bisogni ulteriori, che nessun bene ulteriore potrà soddisfare, che necessiterà però nuovo lavoro, nuovi compromessi per essere ancora possibile. Vede soprattutto che non c'è alcun guardiano, alcuna camionetta di militari che ti spara se esci dal gruppo, e che non ci siamo accorti di qualcosa di clamoroso: le regole che ci rendono schiavi ci impediscono di constatare la nostra schiavitù, ma le abbiamo accettate noi, nessuno ce le ha imposte a forza". Trovare l'energia per cambiare le regole significa innanzitutto, per Perotti, comprendere bene un meccanismo produttivo che per alimentarsi divora le vite di persone intelligenti e colte; la sua è una critica al mondo del lavoro e all'assuefazione ad esso dal punto di vista di un individuo che ha deciso di disintossicarsi : uno dei punti forti del testo è una sorta di questionario per punti in cui si elenca la pesante restrizione delle libertà individuali a cui siamo tutti soggetti, con scarsa consapevolezza e una buona dose di rassegnazione all'esistente. Il problema centrale è che né la politica né la scuola educano al sogno della libertà e, al contrario, ogni sogno viene considerato irrealizzabile. Eppure, come spiega Perotti, il lavoro produce malessere e incapacità di usare con piacere e soddisfazione il proprio tempo. E allora occorre mettere in atto alcune strategie di cambiamento che si potrebbero ricondurre, in generale, al concetto più volte richiamato di downshifting: si tratta di rallentare, di cambiare marcia, di giungere a una volontaria e consapevole riduzione del lavoro e del salario per riconquistare il senso di una vita perduta. Lavoro faticoso, sicuramente, e che richiede una maggiore vigilanza sulle proprie scelte e sui propri comportamenti, ma anche sui bisogni reali e su quelli indotti. La pars construens del ragionamento di Perotti ci sembra più ardua, più difficile da estendere ai molti casi umani: non tutti possono uscire con stile (e una lauta liquidazione) da una vita da manager e il fondo dell'inferno può anche essere, invece di un ufficio milanese, un call center o una fabbrica senza impianti di sicurezza. Ma, come spiega Perotti al fondo del suo libro, sulle orme di Latouche, "la creazione di iniziative locali democratiche è sicuramente più realistica di quell di un mondo globale democratico". Da una critica convincente come quella di Perotti, sia pure nei suoi tratti ancora fortemente elitari, si può comunque partire per qualche nuovo esperimento di decrescita serena, sul fronte allargato di un necessario movimento di liberazione. Monica Bardi
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