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Il primo libro di Desiati che ho letto, il primo libro di Desiati che ho amato alla follia. Una storia commovente, una prosa ricercata, una perizia narrativa che mi ha tenuta incollata alla pagina e che mi ha spinta, anni dopo, a rileggerlo e apprezzarlo nuovamente con la stessa emozione e lo stesso trasporto di un tempo. Consigliatissimo.
Noioso perché scritto da un presunto saccente..... sa già tutto lui, non c'è un dialogo..... PALLA AL PIEDE, sconsigliato
Non conoscevo l'autore e mi ha incuriosito, devo ammettere, il titolo...come conciliare amore eterno con una vita precaria?...può una vita precaria godere di amore eterno...Martino Bux vive in una Roma vera, spietata senza opportunità...conforta le sue tradite ambizioni nel sentimento più bello dell'amore eterno... Mi è piaciuto molto invita a riflettere e a godere di quello che si ha.....oggi.
Recensioni
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Nel suo precoce e fortunato esordio da narratore (Neppure quando è notte peQuod 2003) Desiati – classe 1977 – aveva già raccontato la Roma dei barboni di stazione Tiburtina. Ora come in certe storie dell'orrore quella Roma è emersa in superficie. Ed è l'inferno in senso proprio perché ad abitarlo sono tanti morti viventi ("c'è chi è morto e non lo sa"): i suoi genitori immigrati dalla Sicilia in un quartiere degradato come il Laurentino 38 i suo colleghi precari del call center i fascisti che manifestano contro l'euro il grottesco Andrea Sperelli che staziona nel bar sotto casa sua e la figlia scomparsa della dirimpettaia che vive da barbona alla stazione Termini. È un po' morto anche lui Martino Bux studente fuori corso di filosofia risponditore telefonico a cottimo occasionale consumatore di film porno ancora oscillante tra idealismo e nichilismo. ("A trent'anni ti dicono che non sei abbastanza adulto e non sei abbastanza giovane"; ovvero come scriveva Vittorini nelle Conversazioni in Sicilia: "Avevo quasi trent'anni ed era come se non avessi avuto nulla né i primi quindici"). Tutti morti tranne Toni Antonia Farnesi la sua Toni lontana bella sensuale intelligente creativa; angelica persino nel suo impegno politico e umanitario: "Toni è una geisha nella casa delle belle addormentate".
Da quando il suo amore eterno è partito (per l'Africa questioni di volontariato) Martino sembra essersi definitivamente perso per le vie di una Roma ostile e degradata. Post pasoliniana nel senso di post apocalittica più che altro ("Non so se amerei Toni fino a questo punto. Fino alla sua apocalisse") ché lo sguardo di Desiati è anzi tenero sentimentale e al tempo stesso allucinato ("osservo con stupita curiosità") di una liricità onirica. Il tram diventa così "la lingua di scoppi al magnesio e fili conturbanti di metallo lucente" o "il pachiderma a rotaie che attraversa viale Regina Elena"; "Piazza Vittorio è un polmone di griglie ferrate" gli occhi "ruzzolavano dentro i suoi bulbi come uvette strizzate" mentre lui è "agitato e sgomento come un monsone".
E poi ancora: "abbaglio lattescente" "cielo maledetto e cilestro" "capelli unti di noia" "incedevo al ritmo solenne dell'organo elettrico". Desiati è un poeta (da ultimo Le luci gialle della contraerea LietoColle 2004) e non fa nulla per nasconderlo. La sua scrittura conscia e orgogliosa della propria letterarietà ne fa qualcosa di molto meglio che un "Houellebecq di Tor di Quinto" (come Toni apostrofa ironicamente Martino); la sua Roma non è tanto "un capitolo perduto del Petrolio pasoliniano" (come viene definito un film porno di Rocco Siffredi) quanto piuttosto una stravolta isola d'Arturo in cui i personaggi – tra molte menzogne e pochi sortilegi – si nutrono di lettere scritte a nessuno e da nessuno. È sempre "questa faccenda che sei circondato da morti": è la visionarietà lirica del medium. La mamma di Martino comunica con i morti li vede ci parla; scrive lunghe lettere alla Callas e a Marilyn. Lui Martino non è da meno ma i fantasmi che gli fanno compagnia non lo consolano servono soltanto a dare corpo alla sua frustrazione ad avere qualcuno su cui rovesciare la sua trenodica litania d'odio.
Fino all'urto finale che colpisce il lettore con un impatto inaspettato perché – come si diceva proprio nell'Odio (il film di Mathieu Kassowitz sulle banlieues parigine 1995) – " il problema non è la caduta ma l'atterraggio".
Giuseppe Antonelli
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