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recensione di Scarpi, P., L'Indice 1992, n. 9
Frutto di un lungo e sistematico scavo tra le mitologie dei popoli che nell'antichità precristiana hanno fatto fiorire la civiltà attorno al bacino del Mediterraneo, questo ponderoso lavoro si presta anche ad una lettura non specialistica; un libro comunque da leggere e su cui meditare, piuttosto che da consultare. È un itinerario fra i miti di morte prodotti dall'antica Grecia, dai Sumeri e dall'Egitto dei faraoni e che guadagna alla nostra comprensione il loro diverso modo di confrontarsi e di mettersi in rapporto con quella realtà a cui l'uomo non può sottrarsi. All'interno di questo orizzonte storico e culturale il serpente, che avrebbe trovato un fertile terreno di coltura negli esoterismi dei primi secoli dell'impero romano e che nel nostro secolo è divenuto un motivo caro al simbolismo della psicologia analitica junghiana, viene qui rivisitato nei ruoli assegnatigli dalla civiltà greca.
Liberato da ogni arbitraria interpretazione simbolica e ricondotto allo spazio intermedio tra mortalità umana e immortalità divina, in cui lo collocava la tradizione mitica dell'antica Grecia, in ogni caso più dio che uomo, il serpente diventa un pretesto per esplorare "la condizione umana significata dalla morte", come scrive Dario Sabbatucci nell'introduzione editoriale. Ma è una condizione che ora può essere quella del re, come in Mesopotamia o in Egitto, dove la soluzione dinastica volle sottrarre il sovrano al destino umano, trasformandolo in dio alla sua morte e affermando nello stesso tempo la continuità del suo ruolo attraverso il successore. Ora invece può essere quella dell'eroe e poi dell'uomo entro i confini della città greca, dove la soluzione dinastica è stata rifiutata e l'immortalità è diventata una rara eccezione riservata a qualche eroe nel tempo del mito, come appunto Eracle. A sua volta Tiresia - il cieco indovino che svela il delitto di Edipo nell'omonima tragedia di Sofocle e che sta all'inizio ed alla fine di questo volume, che è situato in un margine privilegiato tanto nella sua esistenza terrena quanto agli Inferi, dove lo incontra Odisseo , sessualmente ambiguo come gli stessi serpenti a cui è legata l'origine della sua cecità e dei suoi poteri mantici secondo alcuni racconti mitici - esalta la dimensione mortale dell'uomo e il presente dominato dall'ordine.
E Tiresia, con Edipo, conduce inevitabilmente al tema dell'incesto. Praticato in Egitto non solo dai sovrani ma anche dai piccoli funzionari e dagli artigiani quale scelta funzionale alla sopravvivenza del sistema culturale, esso è invece respinto in Grecia, dove si trova confinato nel mondo degli dèi. Guidato da un moderato diffusionismo, questo volume aspira anche a sottrarre la storia alle tentazioni universalizzanti, per recuperare lo specifico delle singole culture studiate ed è un esplicito invito ad affrancarsi dai condizionamenti ideologico-culturali di cui è spesso vittima l'analisi scientifica dei fatti religiosi. Se c'è un limite, esso è costituito da alcuni cedimenti verso il paludato stile accademico, e dal tono a volte troppo didattico, che non giovano al fascino ed all'originalità di quest'opera complessa.
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