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Anno edizione: 2024
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Libro presentato da Carlo D'Amicis nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2025.
Michele Gambino ha iniziato a fare il giornalista nel 1980 con Giuseppe Fava, occupandosi di mafia. Da allora ha attraversato alcuni decenni trovandosi sempre, a volte per caso, lì dove accadevano le cose. Ha riempito pagine di morti ammazzati, ha parlato con i boss di Cosa Nostra nascondendo un registratore nella giacca, ha denunciato le collusioni tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata, si è affacciato più volte sul pozzo nero dei misteri italiani. Ha girato il mondo e ha raccontato le guerre: in Libano ha imparato a cucinare; in Iraq ha scoperto che le bombe non sono mai intelligenti; in Afghanistan ha attraversato un campo minato uscendone indenne; nella ex Jugoslavia è stato a un passo dall’uccidere un uomo; in Romania ha svelato per primo la più grande fake new della storia contemporanea; in Colombia ha fatto prima il giornalista e poi l’esmeraldero, tornandovi anni dopo per aprire dei ristoranti. E tuttavia, più che il racconto di una vita avventurosa, questa è la storia di un uomo che ha combattuto e perso, che ripercorre atti di coraggio, debolezze ed errori. Sapendo che quel che conta, alla fine, è aver vissuto.
Proposto da Carlo D'Amicis al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione: «Stimolato da libri in questo senso esemplari (la lista è lunga, e va da Se questo è un uomo a Come d’aria di Ada d’Adamo) si riaccende ciclicamente il dibattito intorno al confine tra romanzo e memoir, o più in generale tra la forma letteraria e le scritture altre. Un confine destinato ad assottigliarsi e a scomparire del tutto quando ci ritroviamo davanti a un vissuto importante, radicale, e a una voce potente in grado di raccontarlo. È questo il caso di Un pezzo alla volta di Michele Gambino, giornalista siciliano in prima linea nella lotta alla mafia negli anni più sanguinari di Cosa Nostra. Se il principale nemico da sconfiggere nella guerra contro la criminalità organizzata è l’omertà, le denunce coraggiose, puntuali, di Michele Gambino e dei suoi colleghi del mensile “I siciliani” durante i caldissimi anni Ottanta (denunce che non arretrarono nemmeno di fronte all’uccisione del direttore Giuseppe Fava) rappresentano un vero e proprio atto di eroismo. Si potrebbe a lungo discutere se davvero i paesi beati sono quelli che non hanno bisogno di eroi, ma ciò che più conta, in un contesto come quello del Premio Strega, è il corto circuito che si viene a creare nel libro di Gambino tra la coscienza civile (che spinse di fatto lui e tutta la redazione del “I siciliani” a una temerarietà incosciente) e l’antiretorica della sua lingua: un corto circuito che genera a tutti gli effetti una partitura letteraria. Contribuisce non poco a questo risultato la pietas, così profonda da permettersi di essere talvolta scanzonata, dello sguardo di Gambino: la letteratura in fondo ha un unico argomento – l’umano – e in questo cerchio l’autore di Un pezzo alla volta riesce a far rientrare perfino la disumanità del nemico, rivelando il volto squallido, meschino, tragicamente banale, della violenza mafiosa. Leggendo le pagine di Gambino, la famosa frase di Giovanni Falcone – “La mafia è un fatto umano, e come tutti i fatti umani è destinato a finire” – risuona di significati più profondi e ci ricorda che il fatto culturale all’interno del quale si producono gli anticorpi all’illegalità non è un mantra per le anime belle ma una postura interiore. Il valore civile di questo libro (che, ripeto, si accompagna senza intralci alla sua letterarietà) si manifesta anche nel racconto di un mestiere, quello del giornalista, che sta vivendo una parabola inquietante, minacciato da un lato dalla polverizzazione delle informazioni veicolate dalla rete e dall’altro dai condizionamenti dei cosiddetti poteri forti. Ecco dunque che il vecchio watchdog journalist, dopo aver inseguito la verità in Libano, in Afghanistan, in Colombia e negli altri scenari di guerra che Gambino ha esplorato dopo il lungo apprendistato nella sua terra d’origine, si ritrova a mentire a un taxista romano che lo sta portando a Saxa Rubra, vergognandosi di essere finito a inseguire notizie di gossip in un rotocalco televisivo del primo pomeriggio. È una delle tante scene memorabili di questo libro, dove il dramma si fonde alla commedia, dove l’ironia diventa una declinazione del tragico, dove la bellezza sopravvive alla miseria. È ciò che accade, solitamente, nella vera letteratura.»
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