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Leggere questo libro, che parte come una biografia di Paolo Boringhieri ma vira molto rapidamente verso una storia dell'editrice Einaudi tra il 1945 e il 1957, con un'appendice sui primi anni della Boringhieri, lascia una sensazione di déjà vu per chi come me ha un po' bazzicato il mercato editoriale italiani. Le difficoltà economiche erano già allora le stesse di oggi, esattamente come la difficoltà nel riuscire a rispettare i tempi di traduzione (ecco, forse allora le traduzioni erano più ruspanti di quanto lo siano oggi, almeno nell'editoria di qualità). Ma è anche bellissimo (ri)scoprire un Pavese-factotum che praticamente mandava avanti da solo la casa editrice, vedere la quantità di consulenti di primissimo piano che Einaudi aveva - come nota personale, non avrei mai pensato che Luigi Radicati di Brozolo fosse stato uno di loro - e soprattutto accorgersi dell'organicità al PCI. Forse la mia generazione era meno politicizzata, o forse sono io che vivevo nell'iperuranio: ma leggere della cellula del Partito in Einaudi, o scoprire come l'affare Lysenko vedesse una triangolazione tra Mosca, Torino e Roma per l'eventuale pubblicazione delle sue opere in italiano mi ha lasciato basito. Una storia, anzi tante storie parallele, davvero interessante!
Recensioni
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Per un umanesimo scientifico di Giulia Boringhieri si pone a fianco di Pensare i libri di Luisa Mangoni (Bollati Boringhieri, 1999), per l'organicità con cui ricostruisce il lavoro di un'officina editoriale e per l'uso puntiglioso delle fonti, e di Senior Service di Carlo Feltrinelli per il pathos contenuto, la scoperta e l'affetto, la capacità di evitare i sentimenti facili scavando nel profondo. Nel libro viene trattata la prima parte della vicenda editoriale di Paolo Boringhieri, il periodo delle "Edizioni Scientifiche Einaudi" (Ese); delle edizioni Boringhieri si parlerà in un volume che spero prossimo.
Sino alla fine degli anni cinquanta, a Torino Boringhieri evocava una singolarità topografica: chi risaliva verso Rivoli corso Vittorio Emanuele si trovava la strada quasi sbarrata da un grande edificio disposto irregolarmente in mezzo alla strada, la birreria Boringhieri. Poi il piano regolatore si è imposto e l'edificio è stato demolito. Ma quello resta un po' un simbolo della vita dell'editore: anomalia solida, discontinuità in un intreccio di strade perpendicolari.
Si comincia con un ritratto di famiglia: grande borghesia di origine svizzera, trapiantata da tempo in Italia senza troncare i rapporti con la prima patria (il padre di Paolo fu console svizzero a Torino fino alla morte, avvenuta nel '45). Libri, musica, ottime scuole (pubbliche). Il tipo di educazione è sintetizzato in queste due righe: "Quando i genitori si accorgono che i bambini sono orgogliosi di mostrarsi in carrozza ai compagni, questa viene immediatamente abolita e sostituita da una camminata a piedi con l'istitutrice". Poche pagine; forse avremmo voluto sapere di più.
Mi pare un ottimo libro. Gli anni di lavoro, più di quattro, si vedono chiaramente. La costruzione narrativa è spesso avvincente (talvolta, come nei romanzi d'appendice, i capitoli si chiudono con un interrogativo che rimanda alla puntata successiva). Ottimo anche perché trova un equilibrio fra il rigore storico, la ricerca dell'obbiettività e l'affetto filiale. La naturale riservatezza di Boringhieri si è trasfusa naturalmente nelle pagine della figlia.
Faccio un esempio. Frequentai Paolo, nei primi anni settanta, in occasione di un convegno internazionale di editori tecnico-scientifici. Tenne il discorso inaugurale, stupendo tutti con una proprietà e una fluidità della lingua inglese assolutamente fuori del comune nel panorama dell'editoria italiana di allora. Di questa dote nel libro si parla solo di sfuggita, all'inizio, quando si accenna a una sua missione all'estero nell'ambito della Resistenza, e alla fine: tra le sue letture personali si citano Chaucer e Shakespeare "nell'originale, naturalmente".
Per un umanesimo scientifico è in un certo senso complementare nei confronti del fondamentale Pensare i libri di Luisa Mangoni dove, per varie ragioni, lo spazio dedicato all'editoria scientifica Einaudi è limitato. Lo riconosce la stessa Mangoni, che in quarta di copertina di questo libro parla di un percorso attraverso "una zona ancora poco conosciuta dell'Einaudi". Nel '49, dopo pochi mesi dall'assunzione in casa editrice (su presentazione di Felice Balbo), e non senza sorpresa di altri redattori come Natalia Ginzburg, Boringhieri divenne responsabile delle collane scientifiche. Il giovane redattore non ancora trentenne acquistò autorità e autonomia "sul campo", rilanciò operativamente un settore negli ultimi anni un poco fermo.
Il suo stile di lavoro è descritto assai bene: cura del testo, capacità organizzative, puntualità negli impegni. Era attento più alla macchina redazionale che ai grandi affreschi di collana. Delle collane seguite editorialmente da altri (la "marrone" di Giolitti, la "viola" di De Martino) rimangono ampie relazioni dei curatori: nulla per la fisica, seguita personalmente da Boringhieri. Abile nella scelta dei consulenti "suoi" (esemplari le pagine sul rapporto con Radicati di Brozolo, che guidò Paolo alla formazione del migliore catalogo di fisica dell'editoria italiana del Novecento), diplomatico nel prendere le distanze da quelli preesistenti (ad esempio Aloisi per la biologia), sapeva valorizzare i collaboratori a tutti i livelli, come i revisori, fra cui Primo Levi (che proprio come revisore di traduzioni di chimica cominciò a collaborare all'Einaudi, e Boringhieri non fu estraneo a determinare la ripubblicazione di Se questo è un uomo nello "Struzzo").
Le "Edizioni Scientifiche" furono una sorta di regione autonoma dentro l'Einaudi: i titoli di Boringhieri raramente erano al centro dei dibattiti del mercoledì. L'autonomia aveva in sé il risvolto di un certo isolamento, di cui Boringhieri stesso percepiva i vantaggi e gli svantaggi. I cenni ad altri protagonisti dell'Einaudi, talvolta documentati, talvolta contenuti in "corsivi" di testimonianza orale, sono di grande interesse. Ricorda Boringhieri: "Dentro la casa editrice c'era un intrico di rapporti in cui non ho mai voluto addentrarmi. (
) Con tutti i rapporti erano cordiali e di stima (
) a Bobbio davo del Lei, con Pavese (
) stavo zitto ed ascoltavo, Calvino viveva in un mondo suo, in cui io non avevo parte".
Molte circostanze legano Paolo a Bollati; cominciano a lavorare assieme, i loro destini si incroceranno a fine carriera. Forse anche Boringhieri aveva qualche riserva sul ruolo di collaboratore più stretto assunto ben presto da Bollati. È un'impressione che, nel libro, si percepisce attraverso un ricordo di Scassellati: "Bollati, a differenza di me, aveva la macchina, ed Einaudi, che non guidava, aveva sempre bisogno di un autista. Così Bollati ne approfittava per fare lunghe chiacchierate in auto con lui". Nei confronti di Einaudi, enorme stima professionale, gratitudine per non avergli "mai messo contro nessuno", riconoscimento del ruolo di guida della casa editrice. Forse mai una grande simpatia umana. Certo non poté apprezzare, nel catalogo del 1956, il silenzio sul proprio nome, sia quando si parlava delle collane scientifiche, sia quando si parlava delle "leve di giovani che erano entrate in casa editrice dopo la Resistenza: Calvino e Bollati, Luciano Foà, Ponchiroli e Solmi, ma non Boringhieri". "Giulio Einaudi era un uomo di pubbliche relazioni. (
) non mi considero un suo allievo". Probabilmente avevano un diverso atteggiamento nei confronti del denaro, e Paolo, a differenza di Einaudi, pensava che l'autonomia di una casa editrice si basasse, più che sui rapporti di vertice con banchieri, industriali e segretari di partito, sui conti in ordine.
Nel 1956, in pochi mesi, fatti d'Ungheria e crisi economica dell'Einaudi spingono Boringhieri verso la fondazione di una sua casa editrice, anche attraverso l'acquisto del catalogo "Ese". L'autrice fa un bilancio della prima fase dell'attività editoriale di Boringhieri (dal '49 al '57): piena realizzazione, sul versante della scienza, dell'ideale einaudiano di editoria di cultura, nella quale si fa sì politica, ma facendo cultura, non facendo uso della cultura. Utile il rendiconto strettamente editoriale: collane, numero di titoli pubblicati, loro successo o insuccesso misurato secondo parametri einaudiani, cioè, in sostanza, sulla base del tempo di esaurimento delle tirature. Il dato complessivo dell'incremento del fatturato nel periodo interessato si trova in un capitolo successivo.
In questo tipo di libri, le persone vengono descritte per quello che fanno e dicono, per le loro opinioni culturali e filosofiche, talvolta per il loro carattere. Non sono usate quasi mai, per comprensibili ragioni, categorie come "intelligente" o "inintelligente", "realizzatore" o "chiacchierone", "per bene" o "non per bene", "coraggioso" o "pusillanime". Per un umanesimo scientifico non fa (e non potrebbe fare) eccezione. Però offre abbondanti elementi al lettore per farsi una propria opinione su quasi tutta la ricca galleria di personaggi descritti. Di Boringhieri emergono, nei fatti, non solo l'intelligenza, il perbenismo, la concretezza, ma anche quel coraggio che lo portò ad agire nella Resistenza (quando avrebbe potuto tenersene fuori facendo valere il proprio passaporto svizzero), a ostacolare la pubblicazione del trattato di Lysenko, a prendere posizione netta, ben prima di Giolitti, sui fatti d'Ungheria e, più tardi, a dare vita a una casa editrice (e che casa editrice) propria. Federico Enriques
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