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"L'esperienza che gli uomini fanno delle cose è primariamente espressa nella parola che le nomina". Ciò che Salvatore Natoli scrive a proposito della parola "luce", lo potremmo prendere ad esergo di tutta questa sua opera. Parole della filosofia ricostruisce infatti le esperienze filosofiche attraverso alcune parole e concetti della filosofia stessa che dispone in coppie, talvolta contrastanti (apparenza/realtà, misura/dismisura), talaltra complementari (filosofia/meraviglia; metafore/teorie). Al centro di questo endecalogo di termini, la coppia fondante, originaria: origine/provenienza, che irradia significato sui termini che la precedono verso l'alto e su quelli che la seguono verso il basso. E questo, proprio nel rispetto delle due varianti essenziali del senso dell'inizio (arché): il principio come semplice avere inizio, che lascia che ciò che segue diventi a sé eterogeneo; e il principio che trattiene presso di sé ciò che genera restandogli omogeneo, o che, heideggerianamente, permane in ciò che lo segue e continua a accompagnarlo a ogni gradino, come lo stupore accompagna ogni passo del cammino del filosofare.
Anche noi, come i greci, diamo a questa nozione un duplice senso, ovvero di principio in quanto inizio, origine, fonte, e di principio in quanto elemento costitutivo, ciò che rende conto di una cosa contenendone e facendone comprendere le proprietà essenziali e caratteristiche. Quale è il principio, in questa seconda accezione, che contiene e accompagna il lessico filosofico di Natoli, o meglio quale è la specificità del suo repertorio di voci filosofiche, ben più teoricamente attrezzato di un normale dizionario filosofico (dove alle coppie già citate si aggiungono quelle di intelligenza/pensiero, luoghi/forme, responsabilità/alterità, luce/ombra, armonia/discordia, Dio/mondo)?
È la dimensione dell'"etica del finito", che Natoli esplicita come il suo modo personale di praticare la filosofia. La costituzione finita dell'uomo d'oggi non è più, spiega Natoli, né la dimensione della finitezza del mondo greco e nemmeno quella dell'universo cristiano. La prima infatti ricavava la finitezza dei mortali dalla loro collocazione in un cosmo fisso e immutabile; la seconda assumeva la finitezza delle creature dalla loro dipendenza da Dio. Oggi invece noi siamo esseri finiti in quanto de-finiti dal nostro essere immersi in un infinito di possibilità; e se da una parte siamo inadeguati ad abbracciarlo nel suo complesso, dall'altra siamo tenuti anche a darne norme e misure, pur se in condizioni di incertezza. Il lessico di Natoli si presenta allora, sulla scia del suo precedente saggio Stare al mondo. Escursioni nel tempo presente ( Feltrinelli, 2002), come una guida lungo il cammino (odos) del pensiero, come una zattera che approda alle "parole come isole" dell'arcipelago filosofico sopravvissuto al naufragio dei grandi sistemi di pensiero per attingervi il senso con il quale comprendere il mondo.
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