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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2017
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Mi aspettavo di più: la raccolta d’esordio di Megan Mayhew Bergman è una sfilata di donne e animali dove ogni relazione incarna un tema diverso di carattere ecologico o femminile. Dalla maternità all’affermazione sul lavoro, dal rapporto con le madri alla gravidanza non desiderata. Vince su tutto l’America remota degli Stati del Sud: colori, ritratti, temperature, distanze, cantilene. Il racconto più bello è l’ultimo.
Marta
In un saggio del 1977 intitolato Perché guardare gli animali?, il critico letterario John Berger imputava alla filosofia cartesiana la colpa di aver tranciato di netto la dialettica millenaria tra uomo ed animale. La riduzione del vivente non-umano a pura macchina senz’anima avrebbe comportato, nei secoli a venire, la lenta marginalizzazione della sfera animale nell’ambito atemporale (mitico) di un passato irrevocabile. Gli animali venivano sottoposti, dal pensiero occidentale, ad un processo di mistificazione, duplice: da una parte, erano considerati i portatori sani della nostra innocenza perduta e di una ferinità tollerabile solo a distanza, esposta al pubblico ludibrio dell’occhio europeo nella rassicurante separazione garantita dalle sbarre di uno zoo; dall’altra, in parallelo, la tendenza universale e individualistica, tipica delle élites, di ritirarsi nel privato, favoriva la diffusione a macchia d’olio della cultura deipets, i cuccioli domestici destinati a essere antropomorfizzati, assimilati ai vizi e alle virtù dei rispettivi padroni.
La lettura di Paradisi minori, opera prima di Megan Mayhew Bergman, ci immerge nella dimensione magica dei rapporti fra uomini e animali. In esergo, la scrittrice americana pone una frase tratta dall‘Origine delle specie di Charles Darwin: “Passeremo ora a esaminare in maggiore dettaglio il principio della Lotta per l’Esistenza”. Questa dichiarazione d’intenti è il filo conduttore dei dodici racconti ed esplicita anche laweltanschauung dell’autrice, in linea con la contronarrazione darwiniana. L’evoluzionismo, insieme al vitalismo, alla psicanalisi fino alle odierne neuroscienze, è una tendenza alternativa al paradigma filosofico della modernità, affrontato criticamente da Berger nel suo saggio testé citato. L’obiettivo delle filosofie antagoniste, nelle loro pur notevoli differenze, è ricucire la frattura tra natura e cultura, tra corpo e mente, tra spirito e materia. Nei racconti di Birds of a Lesser Paradise, infatti, la biologia dell’essere umano abbraccia le situazioni cardine dell’esistenza: nascita, distacco, amore, maternità, malattia, morte, lutto. La vita, in questo quadro di analisi, è un flusso incontenibile che preme, pulsa, cerca una via di fuga tra pensiero e desiderio. Gli animali, muti e dolenti compagni di strada, si incamminano con i loro padroni verso un vanishing point, dove tutto è pericolo e incertezza. A volte, sono ospiti bizzarri, inattesi, e diventano lo specchio deformato che riflette le debolezze e le ossessioni di chi li cura.
I bellissimi quadretti di Paradisi minori, percorsi da una scrittura appassionata e precisa, lasciano nel lettore un freddo perturbamento. I racconti si collocano nel momento storico di collisione tra le due tradizioni sopra esposte: il tentativo di governare la natura, di plasmarla a proprio uso e consumo, si è rivelato il più grande fallimento dell’umanità. La nostra potenza, infinitamente amplificata dalla tecnica, è una maschera di fragilità inconfessate. L’egoismo è la malattia terminale della civiltà. Mentre corriamo dietro all’ultimo cibo per gatti, i ghiacci polari si sciolgono, gli elefanti cadono massacrati e l’aria si fa irrespirabile. Nel rapporto con l’animale di casa cova l’illusione di poter virtualizzare la natura e di piegare l’Altro secondo i nostri dettami irresistibili. Ma un animale resta un animale, e Megan Mayhew Bergman insiste su questa radicale impossibilità, per un essere vivente, di rispettare il dettato umano. Vi è qualcosa di irriducibile fra noi e loro, e questa frattura consente alle nostre vite di attingere intuitivamente a un fondo di mistero. Non solo nella fearful simmetry di una belva feroce, ma perfino nel più fedele dei cani, è riposto un segreto intraducibile, un enigma da indovinare.
Nel primo racconto, una giovane donna e suo figlio Ike vanno alla ricerca di Carnie, un pappagallo africano dalle spiccate doti di imitazione vocale, appartenuto alla madre di lei, scomparsa, nella vana speranza di sentirlo parlare. “Per mezz’ora Ike e io facciamo le moine ma il pappagallo non apre becco. Sotto quel muro di piume grigie c’è l’ultima nota della voce di mia madre, e io sono sempre più angosciata. Aveva un accento marcato? Quando cantava, la sua voce era bella come la ricordo?” In Salvare la faccia, ambientato nell’azienda agricola di un carcere, una veterinaria, dal volto deturpato a causa del morso a tradimento di un lupo, si rifiuta di salvare un vitellino deforme e ormai spacciato, nonostante la minaccia armata di Romulus, un detenuto che lo custodisce di nascosto e vede nella possibile salvezza dell’animale un simbolo di redenzione. “Lila immaginò di avere un’altra cicatrice sul viso, immaginò la punta del coltello che affondava nella sua pelle già piena di cuciture. Importava? Avrebbe fatto differenza? Si. C’era sempre qualcosa da perdere”. In Le balene di ieri una ragazza rimane incinta. Il fidanzato, Malachi, un fanatico ecologista sostenitore dello sterminio della razza umana, vorrebbe farla abortire per il bene del pianeta, ma Lauren decide di tenere il bambino. “Immaginai la mamma balena, stremata dal travaglio, che spingeva il suo piccolo in su, verso la pelle dell’acqua. Il miracolo del respiro nonostante i predatori, il miracolo della vita sulla rotta delle baleniere”. La lotta per sopravvivere, durissima e necessaria.
Sono racconti su una umanità in via di estinzione, scritti per lo più in prima persona e secondo una prospettiva di donna. Le voci narranti sono femminili e le protagoniste principali, appunto, donne, spesso a contatto con gli animali per passione o per lavoro, in varie fasi della propria esistenza. L’autrice, cresciuta in North Carolina e ora residente in una piccola fattoria del Vermont, ha assorbito dal mondo che la circonda una serie di regole essenziali sull’agire umano, imperniate sul movente biologico dell’appetito (il conatus di spinoziana memoria) e sull’istinto di conservazione della specie. “Mi era stato insegnato che nel cuore di tutte le persone, di tutte le cose, c’era un fondo di crudo egoismo. Certo, si potevano vestire bene e mettere belle parole in bocca, ma sotto la cravatta di seta e la camicia stirata c’era sempre un animale. Un animale affamato, territoriale, ansioso di soddisfare i propri bisogni”. Parole della biologa, pentita della città e ritornata nel selvaggio contesto di origine, attorno cui ruota il terzo racconto, quello che dà il titolo all’intera raccolta. “Almeno nella palude non c’era falsa galanteria, finta gentilezza. Era mangiare o essere mangiati, la vita nel senso più puro, ed era lì che volevo vivere”. Viviamo per l’appagamento, ma la Vita appaga se stessa nel micidiale processo di selezione naturale.
Gioia Guerzoni, la traduttrice del libro per NN Editore, nella sua nota a fine volume evoca Kurt Vonnegut, quale nume tutelare della scrittrice americana, non solo per l’attenzione al tema ecologico, ma soprattutto per la “gentilezza umanista”, che soffia tra le pagine di Paradisi minori. Molti racconti di questa raccolta sfumano nel buio della notte o si perdono tra i silenzi degli arenili. Troviamo figlie che sublimano la paura della morte guardando il coyote negli occhi, su un fiume ghiacciato, e future madri terrorizzate dalle mutilazioni che i rottweiler si infliggono senza motivo. Altro che innocente natura incontaminata! Gli animali sono impastati con il sangue e con lo spavento. Come noi. Per questo non possiamo farne a meno. Gli animali, così lontani, così vicini.
Recensione di Alessandro Vergari
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