«…Che storia è la poesia. È storia di speranza, di volontà, di coraggio, di liberazione, di lotta. Storia di uomini e donne il cui passaggio su questa terra è segnato da scie luminose ad indicare la via da seguire; di nonni, padri, madri, vissuti per i figli più che per se stessi, di fratelli e sorelle che, come nel caso di Lonardo rappresentano ancora oggi, nel paradigma della loro semplicità, le pietre miliari del cammino avventuroso nella vita. È innanzitutto storia di tutti i giorni, della nostra normalità come delle nostre utopie che ancora ci ostiniamo a seguire e a costruire con parole e pensieri che a volte tolgono il senno e la ragione, come quando all’improvviso ti trovi a scavare negli abissi della tua coscienza, faccia a faccia con l’io che più non sei e mai sarai. Storia di incubi tra metafore e realtà, tra partecipazione, indifferenza e apatia, ma anche di voglia di speranza in un futuro migliore per i nostri figli e i figli dei figli che verranno e per i quali vorremmo una Poesia, storia di vita, di bellezza e di felicità interiore che sappia andare oltre tutti i meridiani dell’esistenza. È storia di ricordi, di sensazioni ed emozioni caratterizzanti il tempo che fu e che richiamano alla mente le improvvise fulminazioni che davano vita a parole in grado di fissarle in eterno, per poterle rivivere all’occorrenza trasformate in viatico salutare. Ed è ciò che Lonardo cerca di “fare” in particolare con le sue “didascalie”, con il ricordo dei suoi genitori e dei grandi della terra, con gli umili e i diseredati in cerca di un luogo dove mettere radici e finalmente poter vivere, con gli hibakusha, i sopravvissuti, cioè, alle catastrofi recenti e remote dell’umanità, con le sue interpretazioni degli eventi tragici, ma soprattutto con il racconto di se stesso, mai così esplicito e coraggioso come in questa raccolta…» ((Dalla prefazione di “Che storia è la poesia”, Prof. Antonio Daniele).
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