(Piacenza 1774 - Parma 1848) scrittore italiano. Studiò legge e fu monaco benedettino, ma uscì presto dall’ordine e visse poi come modesto impiegato. Favorevole al regime napoleonico (è del 1807 il suo Panegirico a Napoleone), subì persecuzioni per le sue idee liberali nel periodo della restaurazione. Visse a Milano, dove fu redattore della rivista classicistica «La Biblioteca italiana» insieme a V. Monti, entrando in contrasto con il direttore, l’austriacante G. Acerbi. Migliorate grazie a una eredità le sue condizioni economiche, si fermò a Piacenza; poi, esiliato, fu a Firenze, dove collaborò all’«Antologia». Negli ultimi anni, si stabilì a Parma. Antidogmatico e antisistematico (postuma, 1854-63, la raccolta in 14 voll. delle sue Opere), G. testimonia nella sua esperienza intellettuale il contrasto fra abito retorico e idee nuove, premesse conservatrici e conclusioni progressiste. Ma la sua idea di classicità è fondamentalmente omogenea alle sue aspirazioni di progresso civile e unità nazionale: nella lezione degli antichi egli vede la via per giungere allo svecchiamento della cultura e alla diffusione delle idee fra il popolo. Con le sue posizioni di purista e di classicista non contrastano pertanto la condanna della poesia oziosa e l’invito allo studio della storia, dell’economia e della scienza prima che del latino. Tali elementi di progressismo spiegano perché gli uomini del risorgimento, pur non condividendone le idee letterarie, vedessero in lui un maestro di patriottismo. Importante il suo rapporto con il giovane Leopardi, di cui comprese la grandezza e a cui ispirò la poetica classica e civilmente impegnata sottesa alle prime canzoni.