Giuseppe Prezzolini è stato uno scrittore italiano. Stabilitosi giovanissimo a Firenze, interruppe gli studi regolari e, insieme all’amico Giovanni Papini, fu il più dinamico «imprenditore di cultura» (la definizione è di R. Serra) negli anni che precedettero la grande guerra. Con Papini, nel 1903, fondò «Il Leonardo», al quale collaborò con numerosi articoli firmati Giuliano il Sofista: erano gli anni della sua entusiastica adesione all’intuizionismo di H. Bergson e al pragmatismo (Il linguaggio come causa d’errore, 1904; La verità del pragmatismo, 1904), delle cui teorie si servì per polemizzare contro tutte le manifestazioni, politiche, filosofiche e letterarie, dell’età positivistica (socialismo, scientismo, verismo). Ben presto, però, subentrarono in lui altre suggestioni: il movimento modernista (Cos’è il modernismo?, 1908), il sindacalismo rivoluzionario di G. Sorel (La teoria sindacalista, 1909) e infine il pensiero crociano (Benedetto Croce, 1909) che, sulle pagine della «Voce», egli tentò di tradurre in una sorta di «idealismo militante», venato di propaganda nazionalistica. Resta il fatto che «La Voce», da lui diretta quasi ininterrottamente dal 1908 al 1914, fu il luogo d’incontro (e di scontro) fra le forze più vive della giovane cultura italiana, finché lo scoppio della guerra impose a ciascuno una precisa scelta di campo. P. si schierò subito con gli interventisti e fu mandato al fronte come ufficiale; cessato il conflitto, mantenne inizialmente una posizione ambigua, divisa fra l’ammirazione per B. Mussolini e i rapporti col gruppo torinese di P. Gobetti. La momentanea incertezza si risolse in un atteggiamento qualunquistico, da «filosofo» al di sopra delle parti, ma in realtà istintivamente attratto dalla ideologia fascista. Dopo un periodo parigino presso l’Istituto internazionale per la cooperazione intellettuale (1925-29), lo scrittore si trasferì a New York, dove insegnò per venti anni alla Columbia University, dirigendo la Casa italiana annessa a quell’ateneo e adoperandosi per la diffusione della nostra cultura negli Stati Uniti: fra l’altro, nel 1936, pubblicò i primi due volumi del prezioso Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana (i voll. III e IV usciranno nel 1946). Tornato per qualche tempo in Italia, si ritirò poi a Lugano, continuando a collaborare al settimanale «Il Borghese» e ai quotidiani «Il Tempo» e «La Nazione». L’opera sterminata di P. comprende bilanci letterari (La cultura italiana, 1923 sgg., rifacimento di La cultura italiana, pubblicata con Papini nel 1906), saggi e polemiche (Uomini 22 e città 3, 1920), biografie (La vita di Niccolò Machiavelli fiorentino, 1927), impressioni di viaggio (America in pantofole, 1950; America con gli stivali, 1954). Ma le sue pagine, legate per lo più all’occasione, scritte in uno stile stucchevolmente ironico e sentenzioso, hanno ormai un valore soltanto documentario; il libro più vivo e sincero è forse L’italiano inutile (1954), autobiografia esemplare di un intellettuale italiano della prima metà del secolo, eclettico, sicuro di sé, nutrito di vecchi miti nazionalistici e provinciali. Delle sue persistenti nostalgie politiche P. ha dato testimonianza col Manifesto dei conservatori (1972); tra le cose ultime, d’indubbio interesse storico-letterario, pur nella loro faziosità, si ricordano una raccolta di lettere indirizzate all’autore da personaggi italiani e stranieri (Il tempo della «Voce», 1961), il carteggio con Papini (Storia di un’amicizia, 2 voll., 1966-68), l’antologia de La Voce, 1908-1913 (1974), il Diario 1900-1941 (1978).