(Napoli 1575 - Giugliano, Napoli, 1632) poeta e novelliere italiano. Dopo un periodo trascorso tra Venezia e Candia, in qualità di soldato mercenario della Serenissima, tornò a Napoli nel 1608. Soggiornò in seguito alla corte dei Gonzaga, a Mantova, e quindi, rientrato in patria, divenne governatore di vari feudi, per conto di alcuni signori meridionali. Scrisse opere in lingua e in dialetto. Con le prime, per lo più poemetti e liriche di tipo marinistico, non si solleva dal gusto dell’epoca; mentre è per due opere in dialetto napoletano, firmate Gian Alesio Abbattutis, che è universalmente noto: Le muse napolitane (postume, 1635), 9 egloghe dialogate, e soprattutto la raccolta di fiabe Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de’ peccerille (postumo, 1634-36), noto anche come Pentamerone. Si tratta infatti di 50 favole, raccontate in cinque giorni da dieci vecchie. La felicità creativa di B., la cui opera fu fonte d’ispirazione per favolisti stranieri come i fratelli Grimm, Ch. Perrault e L. Tieck, consiste nel sapiente dosaggio di elementi della cultura letteraria e di fantasia popolare. Benedetto Croce definì il Pentamerone «il più bel libro italiano barocco», e barocco esso è certamente per la rutilante immaginativa stilistica; ma il cumulo delle metafore, la serie delle similitudini, la sovrabbondante invenzione lessicale finiscono per assumere, nell’atmosfera ingenua e primitiva evocata dall’autore, una levità e una gaiezza straordinarie. La sua poesia sorridente e gentile non è però aliena da soluzioni incisivamente deformanti, grottesche, quali sono, per esempio, alcune scene di sensuale crudeltà presenti nelle fiabe Verde prato, Il serpente e La colomba.