(Costantinopoli 1762 - Parigi 1794) poeta francese. Nato da madre non di origine greca, come a lungo si è creduto, ma ottomana cattolica, visse a Parigi in un ambiente aperto alle idee illuministiche del tempo. Partecipò attivamente agli inizi della rivoluzione, poi, disgustato dagli eccessi del Terrore, ne denunciò con coraggio gli errori; imprigionato e condannato, morì sulla ghigliottina a 32 anni, due giorni prima della caduta di Robespierre. Noto, prima della morte, solo per la sua attività politica (di lui non si conoscevano che articoli di giornale, alcuni pamphlets e pochi versi didascalici), Ch. lasciò un’opera poetica frammentaria, raccolta e pubblicata per la prima volta nel 1819. Essa comprende: Elegie (Elégies), cui appartiene l’ode La giovane prigioniera (La jeune captive); Bucoliche (Bucoliques), con l’idillio La giovane tarantina (La jeune tarentine) e il poemetto Il cieco (L’aveugle); Giambi (Iambes), versi satirici scritti in carcere in attesa della morte, in cui esplode il suo disperato furore contro la viltà degli amici e la crudeltà del carnefice; i poemetti filosofici incompiuti Ermete (L’Hermès) e L’America (L’Amérique), che celebrano i miti del secolo della ragione.Nella poesia di Ch. i romantici credettero di scorgere i primi segni del risveglio poetico che avrebbe caratterizzato il sec. XIX. In realtà, la lirica di Ch. costituisce uno dei vertici della stagione neoclassica europea. Sia i principi teorici della sua poetica, esposti nel poemetto L’invenzione (L’invention, composto, sembra, nel 1787) e ispirati a un classicismo ellenizzante, sia i temi e gli atteggiamenti spirituali (compiaciuto abbandono alla malinconia, al pensiero della morte, nostalgia di un sogno pastorale e, soprattutto, di un’epoca lontana, del tutto primitiva, originaria, epifanica) sono calati nella poesia di Ch. in nitide e fluide forme, aliene da ogni enfasi romantica e subordinate a un uso sapiente degli strumenti retorici, con effetti stupendi di grazia, contenuta emozione, limpida armonia. Ch. ha lasciato anche, oltre a una gran quantità di frammenti poetici e al libello antigiacobino Gli altari della paura (Les autels de la peur), una prima stesura (risalente probabilmente al 1787), incompiuta, del Saggio sulla perfezione e la decadenza delle lettere e delle arti (Essai sur les causes et les effets de la perfection et décadence des lettres et des arts), in cui riprende le idee di Alfieri (da lui conosciuto a Parigi) sull’indipendenza del letterato.