(Teo, Ionia, 570 ca - 480? a.C.) poeta greco. Fu ospite prima di Policrate di Samo, poi, ad Atene, di Ipparco, due tiranni protettori delle arti. Gli alessandrini, che accostavano la lirica di A. a quella di Alceo e di Saffo (mentre esse sono separate da più di mezzo secolo), pubblicarono in 5 libri la sua opera, divisa in canti, giambi ed elegie. A noi restano circa 160 frammenti. Lo sfondo della poesia di A. è costituito dal simposio, che alla corte dei tiranni doveva avere caratteristiche di particolare raffinatezza e che in A. acquista inoltre una coloritura spiccatamente erotica. In lui il tema dell’amore è predominante, ma la passione fisica è osservata con pacata ragionevolezza, con atteggiamento spesso di ironia: ironia verso sé stesso, amante sfortunato o troppo vecchio, ma anche verso il ragazzo amato, di cui si celebra con sorridente solennità il taglio della lunga chioma, o verso la fanciulla che ignora il poeta e contempla, stranita, i bei capelli neri. L’ironia punge con rapide frecciate un marito debole, e diviene mordace quando disegna il ritratto di uno schiavo arricchito. Il dialetto di A. è uno ionico ricco di omerismi (talora ispirati a un’intenzione satirica) e di vocaboli di probabile provenienza popolare.Nella storia delle forme letterarie, il nome di A. è legato a un verso (forse in origine un dimetro giambico catalettico) che costituì il metro delle «anacreontee», la cui fortuna fu enorme nella letteratura greca e bizantina. La moda europea delle «anacreontee», o «anacreontiche», risale alla pubblicazione che l’umanista francese Henri Estienne fece, nel 1544, di un gruppo di componimenti dell’età greco-romana. Soprattutto nel Seicento e nel Settecento, in corrispondenza col gusto arcadico, la voga anacreontea fu diffusissima.