(Parigi 1810-57) scrittore francese.La vita e le opere Dopo gli studi secondari oppose alle istanze carrieristiche della famiglia la sua vocazione poetica. Ciò non toglie che la vita mondana lo attirasse ben più dei cenacoli letterari, e che la letteratura fosse per lui, innanzitutto, un’esperienza di società varia e brillante. Lavorò a una traduzione delle Confessioni di un oppiomane di De Quincey, pubblicò una raccolta di versi, Racconti di Spagna e d’Italia (Contes d’Espagne et d’Italie, 1830), omaggio a un facile esotismo e alle mitologie romantiche, ed esordì senza successo in teatro con La notte veneziana (La nuit vénitienne, 1830). Solo nel 1832, morto il padre, la letteratura divenne per M. uno strenuo impegno.Al 1833 risale il poema Rolla in cui si delinea già uno dei motivi tipici della successiva produzione drammatica di M.: la disperata constatazione della perdita della purezza e della difficoltà di recuperare valori assoluti. Quasi contemporaneo è l’inizio della sua tempestosa relazione con George Sand. Da questa esperienza esaltante e spossante nacquero scritti mediatamente autobiografici come Le confessioni di un figlio del secolo (Les confessions d’un enfant du siècle, 1836) e Lorenzaccio (1834), dramma storico tratto da un canovaccio della stessa Sand. La tensione sentimentale suscitata da questa relazione continuamente rotta e riannodata favorì il suo lavoro: pubblicò Le notti (Les nuits, 1835-37), un poema in quattro parti, e una raccolta di opere teatrali destinate alla lettura, Uno spettacolo in poltrona (Un spectacle dans un fauteuil, 1834), comprendente oltre a Lorenzaccio, Andrea del Sarto, I capricci di Marianna (Les caprices de Marianne), Fantasio, Con l’amore non si scherza (On ne badine pas avec l’amour). Benché per lo più solo tardivamente rappresentate, queste opere (molte delle quali ambientate nell’Italia del rinascimento) figurano comunque come le creazioni più interessanti dell’intera stagione teatrale romantica.Il rapporto di M. col teatro andò, del resto, al di là di quello di un semplice autore: grazie all’amicizia di Rachel, interprete delle tragedie di Racine, M. partecipò attivamente alla formazione di un nuovo gusto scenico. Col 1840, data dell’edizione delle Poesie complete (Poésies complètes), la stagione poetica di M. era quasi finita. Spinto dal bisogno di denaro, scrisse racconti leggeri in cui trovano posto ussari, «grisettes» e il mondo scomparso della corte di Luigi XV. Ma i suoi amori con le attrici s’accompagnarono ancora a un rilancio del suo teatro: in commedie e «proverbi» come Il candeliere (Le chandellier), Non bisogna mai giurare (Il ne faut jurer de rien), Un capriccio (Un caprice), Bisogna che una porta sia aperta o chiusa (Il faut qu’une porte soit ouverte ou fermée), Louison, Impossibile pensare a tutto (On ne saurait penser à tout), Carmosine, Bettine, poi raccolti tutti nei due volumi di Commedie e proverbi (Comédies et proverbes, 1853), M. diede quella che è, secondo molti critici, la parte più valida e resistente della sua opera: testi caratterizzati, al di là delle evidenti derivazioni letterarie (Marivaux, Beaumarchais), da una personalissima levità insieme candida e amara, maliziosa e crudele. Ma, ormai malato e alcolizzato, M. aveva finito col compiere quel progetto autodistruttivo attribuito in precedenza alle creature della sua immaginazione.I personaggi e lo stile di Musset Al centro dell’ope ra di M. sta infatti il proposito di definire, nei suoi personaggi-chiave (Jacques Rolla, Lorenzaccio), una immagine anticipatrice della propria distruzione. Il piacere, in essi, è insieme punto di partenza del loro annientamento e fondamento di una scelta esistenziale. Lorenzaccio uccide Filippo Strozzi, compagno di orge e tiranno di Firenze, trovando nel regicidio una giustificazione assurda della propria inanità; Rolla assorbe in un nero flacone di veleno, con l’ultimo filtro amoroso, la morte che segue la dilapidazione della fortuna e la dilapidazione dei sentimenti nel piacere. La vita dei personaggi di M. è seducente ed effimera come la sua scrittura. Svincolato da impegni morali e politici, ma prigioniero delle sue scelte esistenziali, al poeta resta la forma, e questa forma non è altro se non emotività espressa nel linguaggio letterario: sia esso attinto a Marivaux oppure a Byron, che accanto a Don Giovanni è una delle figure che più condizionarono la sua fantasia. Ed è proprio l’intrinseca letterarietà dell’opera di M. che lo sottrae a una generica appartenenza, come personaggio incantevole ma minore, alla grande stagione romantica e mette in luce la sua qualità più tipica e originale, che è quella di una straordinaria valorizzazione lirica della parola.