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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Libro ideologico più che scientifico. L'autore, spesso, sembra far indossare agli altri i propri difetti.
I libri di Barbujani mi sembrano sempre molto ideologici e "l'invenzione delle razze" non fa certo eccezione, insomma Barbujani ha le sue tesi e per dimostrarle seleziona dalla letteratura scientifica tutto ciò che a lui fa comodo tralasciando o marginalizzando il resto, il quadro che ne viene fuori non è proprio falsato ma di certo è parziale. Poi lui avrà anche le più nobili intenzioni ma uno scienziato (od un divulgatore scientifico) non dovrebbe certo agire così, anche se purtroppo comportamenti simili sono alquanto diffusi.
Intelligente e divertente.
Recensioni
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Nazisti. Questo fu, nel 1994, il verdetto emesso da Charles Lane nei confronti di Charles Murray e Richard Herrnstein, autori del bestseller razzista americano The Bell Curve. Il contenuto del libro è facilmente riassumibile: la scala sociale statunitense è equa in quanto rispecchia il valore intrinseco degli individui; chi è più ricco lo è perché biologicamente migliore degli altri. Nella recensione pubblicata dalla "New York Review of Books", Lane giustificava ampiamente le sue critiche, dimostrando come tutte le "prove" addotte da Murray e Herrnstein a sostegno delle loro tesi provenissero in realtà da articoli apparsi su "The Mankind Quarterly", rivista sorta con l'obiettivo di dimostrare la fondatezza scientifica del razzismo biologico e sostenuta da associazioni razziste come la "Candour League", fautrice del regime di apartheid in Sudafrica, la "British Racial Preservation Society" e, soprattutto, il "Pioneer Fund", fonte di finanziamento diretta anche della ricerca di Murray ed Herrnstein.
Ma come era possibile che due docenti di Harvard (psicologo sperimentale Herrnstein, politologo Murray) rispolverassero, negli anni novanta, argomenti che non avrebbero sfigurato nelle antologie dell'eugenica nazionalsocialista? Per rispondere a questa domanda, Barbujani si appella ai risultati della genetica, descrivendo, con la consueta maestria narrativa, l'inconsistenza teorica di qualsiasi tentativo di legittimare su basi scientifiche il concetto di "razza". "Tutti parenti, tutti differenti" potrebbe essere, in realtà, il sottotitolo del volume, mutuando un efficace slogan del genetista francese André Langaney. Gli esseri umani, infatti, non sono che una collezione di diversità. Come ogni specie giovane, l'Homo sapiens presenta una forte uniformità genetica di fondo, tale da impedire una distinzione biologica o genetica fra "razze" umane, all'interno però di una spiccata diversità morfologica e comportamentale a livello individuale. Noi siamo dunque "umani" principalmente perché condividiamo l'appartenenza a una popolazione, riproduttivamente chiusa, con una specifica storia evolutiva cominciata in Africa non più di duecentomila anni fa. Come scoprì il genetista Richard Lewontin negli anni ottanta, la distanza genetica media fra due individui qualsiasi è di solito più grande della distanza genetica media fra due popolazioni distinte di esseri umani.
Come spiegare, dunque, il razzismo "senza razze" che pur stenta a scomparire? Qui afferma lucidamente Barbujani la biologia deve fermarsi, limitandosi e non è poco a dimostrare che il concetto di razza è, dal punto di vista genetico, un'invenzione. Un antirazzismo che si basasse su presupposti esclusivamente scientifici sarebbe, dunque, inevitabilmente destinato allo scacco. L'autore ne appare ben consapevole soprattutto quando accenna alle ragioni sociali e culturali che spesso si celano dietro il riduzionismo razzista. Tuttavia, quando sembra individuare nella debolezza della ragione la causa del successo delle argomentazioni razziste, il discorso di Barbujani risulta meno convincente. Indubbiamente la difesa della razionalità è una condizione imprescindibile nella demolizione del pregiudizio razzista. Ma l'Illuminismo non impedì a Voltaire di essere antisemita o a Jefferson di credere nell'inferiorità dei "negri".
Francesco Cassata
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