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Per me una chicca. Una sovversione esistenziale del nostro tempo che, seppur criticabile, è assolutamente affascinante.
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La vita è adesso
di Massimo Filippi e Enrico Monacelli
La recente pubblicazione in italiano dell’opera omnia del Comitato Invisibile (L’insurrezione che viene, Ai nostri amici e Adesso) ha colpito, in un senso o nell’altro, molti stomaci (più o meno dispeptici) e molte coscienze (più o meno belle). Per quanto le opinioni di cui siamo venuti a conoscenza nei giorni che hanno preceduto l’uscita del libro non abbiano alcun valore scientifico, in molt* hanno manifestato inquietudine, ansia, perplessità, paura o, al contrario, gioia ed entusiasmo di fronte all’annuncio inatteso della nuova traduzione degli scritti del Comitato Invisibile a opera di Marcello Tarì che, con precisione, ne ha saputo restituire la natura anfibia, sempre in bilico tra il proclama urlato e la raffinatezza di un’inedita filosofia politica. Le cause di queste reazioni contrastanti sono probabilmente molto varie, ma verosimilmente tutte riconducibili al ruolo che il Comitato Invisibile ha giocato nel recente dibattito politico italiano e ai contenuti letteralmente incendiari delle sue opere.
A questo proposito, va ricordato che il Comitato Invisibile è stato, per almeno un decennio, il convitato di pietra nel dibattito della politica radicale del nostro paese, un’infezione simil-virale trasmessa da pubblicazioni clandestine, cristallizzatasi in linguaggi, spesso esoterici, sviluppati nel corso di assemblee travagliate e interminabili. Per quanto l’anonimo gruppo francese non sia mai diventato oggetto di attenzioni mainstream, molti dei concetti che ha sviluppato sono diventati parte fondamentale della koinè informale del pensiero radicale, tramutandosi in mappa (o archivio) delle gioie e dei dolori di molt* militanti. Ciò rende la pubblicazione di questo volume tanto urgente quanto problematica, poiché da un lato va inevitabilmente a toccare nervi scoperti e ferite ancora pulsanti e dall’altro rende disponibile a un pubblico più ampio – e, quindi, probabilmente solo superficialmente coinvolto – un sapere che fino a oggi è stato in qualche modo gelosamente custodito nella clandestinità.
La visione politica del Comitato Invisibile è, a dir poco, indigeribile non solo per l’élite, con i suoi vassalli e i suoi servi, ma anche per chi, durante la recente (ma che di recente, in fondo, ha solo l’apparenza) parata di nazionalismi virulenti, catastrofi ecologiche, mattanze ai confini di stati-nazione sempre più blindati e discriminazioni ogni giorno più sfacciate, è comunque rimasto attaccato alla speranza di aggiustare il mondo facendo ricorso a un qualche spostamento della finestra di Overton, che fosse nella forma di un riformismo annacquato, di un velleitarismo post-rivoluzionario o di una serie di pericolose e insensate strizzatine d’occhio alle richieste politiche dei populismi di destra. La visione politica del Comitato Invisibile è infatti schematizzabile in tre movimenti non-dialettici: 1) collasso, 2) insurrezione e 3) secessione. Movimenti che, seppure imbevuti di un’atmosfera gioiosamente immanentista e di chiara ispirazione deleuziana, si inabissano nella profondità e nella virulenza delle lacerazioni materiali e simboliche che il capitalismo neoliberale ha inferto e continua a infliggere ai corpi dei singoli e delle comunità.
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