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L’Italia fascista aveva mire di espansione in Africa e poiché questo continente, in cui pure erano ricomprese colonie italiane, era già stato da tempo occupato, o direttamente o attraverso protettorati, dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dal Belgio, rimaneva ben poco, in pratica solo l’Etiopia. Ed è a questo stato che già dal 1930 Mussolini iniziò a rivolgere l’attenzione, tanto più che occuparlo avrebbe anche significato una rivincita della cocente sconfitta subita ad Adua il 1° marzo del 1896. Fu così che vennero predisposti con largo anticipo i piani di guerra, anche perché prima si sarebbe dovuto ottenere, se non il consenso, la tacita indifferenza delle altre potenze coloniali. Inoltre, fra i motivi per l’intervento, c’era una situazione economica interna per niente soddisfacente, con una gran massa di disoccupati che avrebbero potuto essere utilizzati per coltivare le terre fertili dell’altopiano etiopico. L’avversario, peraltro, era piuttosto facile da sconfiggere, visto che la struttura statale era ancora embrionale, così come quella dell’esercito, non armato modernamente e privo di aeronautica, tutti elementi positivi per il Duce in quanto la pressoché assoluta certezza di vittoria, con conseguente istituzione dell’impero, avrebbe galvanizzato gli italiani, la cui simpatia per il fascismo si era alquanto intiepidita. D’altra parte, l’eventualità, se pur remota, di una sconfitta avrebbe avuto conseguenze catastrofiche per il regime e per scongiurare questa infausta ipotesi si preparò la guerra con una larghezza di mezzi mai vista prima e con un onere economico, di cui non si è avuto mai un conto esatto, ma del tutto astronomico. Nonostante la nostra netta superiorità di mezzi corremmo il rischio di essere battuti, almeno fino a quando il Negus Hailé Selassié condusse una campagna di guerriglia, senza mai arrivare al confronto aperto in una battaglia campale, che invece sostennero a Mai Ceu il 31 marzo 1936, subendo una batosta irrimediabile.
Ottimo libro sulla Campagna d'Etiopia. Mussolini ha deciso di invadere l'Etiopia per conquistare nuova terra in cui far arrivare milioni di contadini italiani disperati. Tinge il tutto con la retorica del ritorno dell'impero romano. Per evitare il disastro di 30 anni prima ad Adua invia fino ad 11 divisioni militari, una operazione con un costo altissimo. A comandare c'era De Bono, sostituito poi da Badoglio. A sud l'offensiva la guidava Graziani, che insieme al caro Pietro avevano dato prova di ferocia in Libia. Le truppe riescono ad entrare in Etiopia dall'Eritrea e dalla Somalia grazie a pesanti bombardamenti che distruggono quello che trovano, e grazie alle micidiali e vietate bombe a gas, ipirite. Bombardano anche la croce rossa. Al povero imperatore Sellasiè non rimane altra speranza di chiedere aiuto alla Società delle Nazioni (di cui fa parte con l'Italia) segnalando i crimini di guerra. Ma non trova mai ascolto. Le sue truppe si difendono bene dagli attacchi e riescono a rintuzzare gli assalti, ma poi sono fiaccati dalle terribili bombe che ammazzano pure civili e bestiame, e avvelenano le acque. Poi prevale la disorganizzazione (non avevano nenche le radio e quelle poche venivano intercettate). L'imperatore invece di continuare la campagna con guerriglia, si decide per lo scontro campale, che fiacca definitivamente l'esercito. Sellassiè lascia il paese, Mussolini trionfa. E' l'apice del successo. Viene deificato e idolatrato. In realtà l'Etiopia è occupata solo nelle città e nelle strade principali. Per sei anni sarà sempre in rivolta. Quel sanguinario di Graziani per sedare le rivolte, fa ammazzare tutti, persino duemila sacerdoti riuniti in preghiera in un santuario. Un criminale di guerra che Sellassiè non riuscirà a trascinare con Badoglio in una norimberga africana. Dei milioni di italiani da occupare nelle terre etiopi non arrivarono che qualche migliaio, tutti da difendere con le armi. Un libro interessante e molto utilie. Manca solo una cartina.
In modo decisamente obiettivo e sistematico, l'autore narra con assoluto senso di verità gli eventi che vanno dall'0inizio della questione etiopica, alle operazioni militari, alla fine della guerra e la proclamazione dell'Impero. Consigliatissimo !
Recensioni
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Sulla copertina, sotto il suo nome e davanti a una cartina militare del Corno d'Africa, si legge "autore di Italiani, brava gente?". Domanda retorica ma consapevole dei crimini commessi, oltre che rimando importante, dovuto a uno storico che si è mosso controcorrente, rispondendo alla rimozione della memoria coloniale con ampi e dettagliati lavori sui crimini compiuti dagli italiani in Africa. Una scia che non abbandona neppure in quest'ultimo lavoro sull'impresa coloniale in Etiopia. Le prime righe aprono lo scenario bellico con la marcia su Addis Abeba. È il 5 maggio del 1936. L'attuazione dell'ordine del giorno 572, redatto da Badoglio, prevede tre colonne: una autocarrata sotto gli ordini del generale Gariboldi, una composta da battaglioni eritrei al comando del colonnello De Meo, la terza, con quattro battaglioni, diretta dal generale Gallina.
Le truppe italiane che di lì a poco entreranno nella città sono spinte dalla propaganda fascista, dal desiderio impiantato nelle coscienze italiane della vendetta di Adua, dal mito della civilizzazione. L'intento di Mussolini, chiarisce invece Del Boca, è di "scatenare una guerra di sterminio con il preciso proposito di creare larghi vuoti nel paese da riempire con milioni di italiani affamati di terre". A dimostrazione di ciò un telegramma, nel quale Mussolini dà precise indicazioni sul da farsi appena occupata la capitale: dovranno essere fucilati i sorpresi con le armi alla mano o coloro che entro ventiquattr'ore non le abbiano consegnate, i giovani etiopici autori morali di saccheggi, coloro che abbiano partecipato alle violenze. Ma anche le leggi contro il meticismo (sic), le quali dispongono che nessun italiano, militare o civile, rimanga nei territori coloniali più di sei mesi senza moglie. Renzo De Felice ignora tutto ciò o tace su questi aspetti.
Vanno a vuoto i tentativi di Hailé Salassié di disattivare i meccanismi di guerra: a nulla serve la liberazione di cinque ostaggi italiani, la bandiera bianca imposta alle milizie, gli appelli lanciati dal Negus alla Società delle Nazioni. Mussolini alle 19.45 si affaccia dal balcone di piazza Venezia, urla al mondo che la guerra è finita, che la pace è ristabilita: "Si tratta aggiunge il duce della nostra pace, della pace romana, che si esprime in questa semplice, irrevocabile, definitiva proposizione: l'Etiopia è italiana". Gli fa eco il mondo intellettuale italiano (Fanfani, Montanelli, Marconi, Gentile, Pirandello), l'Europa e il mondo: plausi arrivano dall'Inghilterra di Churchill e Chamberlain, dal Giappone, più cautamente dagli Stati Uniti di Moore. Rimane fuori dal coro solo la Francia che, con le parole del ministro degli esteri Flandin, bolla l'impresa come "vera follia".
Hic manebimus optime, motto della romanità fascista, meta di un percorso iniziato nel 1925, subito dopo l'assassinio di Matteotti. La parabola comprende la rioccupazione della Libia, l'annessione integrale della Somalia, dei sultanati di Obbia e Migiurtinia. Poi nel '29 il Fezzan, nel '31 la Cirenaica. L'anno successivo viene presentata a Mussolini la Relazione sull'Etiopia: De Bono viene incaricato di preparare l'offensiva nei confronti dell'impero etiopico. Il 5 dicembre 1934 a Ual Ual, nell'Ogaden, si accende una furiosa battaglia fra truppe italiane ed etiopi: il bilancio è di ventuno morti e sessantuno feriti tra gli italiani. Per Mussolini è un'occasione da sfruttare: lo sforzo è sia militare, sia di propaganda (si pensi alla "giornata della fede" in risposta alle sanzioni della Società delle Nazioni).
Quando, il 3 ottobre 1935, De Bono varca la frontiera, iniziando così la guerra dei sette mesi, non esistono più mezze misure. Mussolini vuole l'Etiopia a ogni costo: piovono diluvi di bombe, anche su chiese e ospedali. Badoglio userà, inoltre, l'iprite e i gas asfissianti: la guerra si fa di annientamento. Non mancano scene apocalittiche come quelle descritte da Vittorio Mussolini: "Grossi fuochi tenevano lontano iene e avvoltoi, mentre i nostri soldati bruciavano cataste di abissini". Dopo aver piegato il paese, l'ultimo ostacolo sono le armate del Negus: la battaglia di Mai Ceu si conclude con una ritirata etiope dopo quattordici ore di operazioni militari. "Tutti innocenti, tutti assolti": De Bono, Badoglio, Graziani, gli alti gradi militari, ma soprattutto Mussolini. Dice Del Boca: "Non ci sarà una Norimberga africana", nonostante i crimini di guerra, 350 tonnellate di gas mortali che hanno causato 17.000 morti, stragi e fucilazioni sommarie, 300.000 morti in battaglia, 24.000 patrioti fucilati, migliaia sterminati nei campi di concentramento. Dietro all'idea di impero si cela la vera matrice del fascismo, che alla discriminazione fece seguire l'eliminazione culturale e fisica. Londra e Washington hanno esercitato pressioni perché non fosse istituita un'istruttoria internazionale, perché questa tragica pagina di storia terminasse, conclude Del Boca, "nel silenzio e nella rimozione". Gabriele Proglio
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