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L'interesse dei neuroscienziati si è concentrato in questi ultimi quarant'anni essenzialmente sul sonno, sui suoi meccanismi fisiologici e sulle corrispondenze psicologiche alle diverse fasi del sonno. Piero Salzarulo in questo suo libro affronta invece il tema della veglia e dei risvegli, soffermandosi in particolare sulla transizione degli stati di coscienza: da quelli che caratterizzano il sonno a quelli che compaiono con il risveglio. E subito ci mette sull'avviso che quello che soggettivamente tutti noi viviamo come un episodio continuo di sonno è in realtà discontinuo e interrotto da episodi di attività elettrica cerebrale simile alla veglia e variazioni vegetative (sonno paradosso o Rem), ma anche da veri e propri risvegli con aumento del tono muscolare, aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, della pressione arteriosa e del consumo di ossigeno. Appare evidente che i meccanismi di regolazione della veglia non sono solo speculari rispetto a quelli del sonno, ma hanno loro aspetti specifici. Innanzitutto la corteccia vi partecipa molto più che ai meccanismi del sonno, e inoltre la transizione dal sonno alla veglia è affidata a sostanze chimiche specifiche, ma anche a un "orologio interno" legato all'abitudine e a fattori socio-culturali. Più complicato il problema del risveglio e dei ritmi sonno-veglia nei turnisti, nei lavoratori nel campo dei trasporti o sociosanitario, nei navigatori a vela in solitaria, dove i ritmi diventano polifasici come nella prima infanzia. È molto interessante lo studio del sonno nei prematuri. In essi si osservano risvegli molto frequenti e un'intensa motilità durante lo sviluppo post-termine. Inoltre, bambini a termine mostrano con l'età una diminuzione del numero dei risvegli e del tempo necessario per addormentarsi. Al contrario, i bambini pre-termine mostrano con l'età una maggiore frequenza dei risvegli. Questo fenomeno, insieme all'aumento della motilità, lascia pensare che i bambini pre-termine e che non hanno avuto un contatto con la madre pelle a pelle nei primi giorni di vita cerchino, secondo il pensiero di Esther Bick, di crearsi con la motricità una seconda pelle che possa contenerli psicologicamente. Il contatto con la pelle della madre sembra influenzare i ritmi del sonno del neonato: bambini nutriti al seno presentano una frequenza di risvegli maggiore rispetto ai bambini nutriti con il biberon. Nell'adulto i risvegli notturni scompaiono, ma nell'anziano ritornano e il sonno diventa frammentato. Ma quando preferibilmente compare il risveglio durante il sonno? Fin dai primi giorni di vita, il risveglio avviene prevalentemente in sonno Rem, verso il 5° minuto dall'inizio di questa fase. Anche l'adulto si sveglia preferibilmente in sonno Rem, mentre nell'anziano il risveglio avviene più in fase 2 del sonno non-Rem che in sonno Rem. Poiché una delle funzioni del sonno è quella di produrre sogni, e poiché i sogni si ricordano al risveglio, il problema che si pone è quali sono le variabili al risveglio che facilitano o inibiscono il ricordo del sogno. Si è dimostrato che il ricordo del sogno è maggiore quando il risveglio è brusco in quanto permetterebbe un accesso più facile ai contenuti del sogno immagazzinati nella memoria a breve termine. Il risveglio progressivo permette invece l'attivarsi dei meccanismi dell'oblio legati anche all'interferenza da parte dei contenuti della veglia. Anche se i sogni sono presenti in tutte le fasi del sonno, dall'addormentamento al risveglio, sembra che la frequenza dei ricordi e conseguentemente la maggiore lunghezza della narrazione e la bizzarria del sogno siano collegate al risveglio in fasi Rem rispetto alle non-Rem. Ciò significa che in fase Rem la memoria del sogno si consolida di più che in fase non-Rem. Una delle conseguenza più temibili dei risvegli notturni numerosi e prolungati nel tempo è il successivo disturbo del funzionamento cognitivo. Nelle psicosi la situazione è più complessa. Spesso esse esordiscono con una grave insonnia o con lunghi periodi di veglia, e il miglioramento clinico può accompagnarsi alla scomparsa di questi disturbi. È noto come le depressioni o le psicosi maniaco-depressive possano esordire con un aumento dei risvegli notturni, come nei soggetti con morbo di Parkinson o con malattia di Alzheimer. Dal punto di vista psicopatologico, comunque, si osservano difficoltà di risveglio in soggetti con segni di depressione o con crisi psicotiche. In questi casi, la difficoltà al risveglio può rappresentare una fuga dalla realtà sia in soggetti con parti della personalità altamente persecutorie sia in soggetti gravemente depressi. Per concludere, l'autore sottolinea come ciascun individuo adulto ha un suo "bagaglio di risvegli" che è il risultato anche delle influenze ambientali che hanno caratterizzato il suo sviluppo. In fondo il sonno esprime una capacità plastica di adattamento del cervello alle esigenze dell'ambiente, come ad esempio la luce, i ritmi sociali e determinate esigenze culturali. (M.M.)
recensioni di Mancia, M. L'Indice del 1999, n. 09
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