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recensione di Moriconi, E., L'Indice 1998, n. 5
Due sono le questioni con cui, nel corso dei secoli, la filosofia della matematica si è dovuta confrontare; la prima e più antica è di tipo ontologico: "Esistono le entità matematiche, e se sì, qual è la loro natura?"; la seconda, coetanea della svolta cartesiana, è di natura epistemologica: "Come fanno le credenze matematiche ad acquistare piena giustificazione?". A tali questioni va poi aggiunto il problema di quale semantica sia adeguata per il linguaggio matematico. Quest'ultimo problema sottende necessariamente la questione ontologica, poiché è solo collegando il problema della verità degli enunciati matematici con il problema del riferimento dei termini numerici che in essi compaiono che si può derivare dalla verità degli enunciati matematici la necessità dell'esistenza delle entità matematiche descritte.
Questi temi squisitamente filosofici sono sviluppati seguendo il filo dei problemi posti da tesi generali di epistemologia e filosofia del linguaggio, evitando di coinvolgere gli aspetti più tecnici e formali dei problemi di filosofia della matematica discussi. In effetti, mentre grande spazio hanno, ad esempio, le conseguenze della teoria che richiede l'esistenza di un nesso causale fra ciò che rende vero l'enunciato conosciuto e il soggetto conoscente, oppure questioni connesse con il riferimento dei termini, nessuno dei grandi risultati ottenuti nel corso di questo secolo (dall'incompletezza dell'aritmetica all'indipendenza dell'ipotesi del continuo, tanto per fare due esempi) è invece discusso nel corso del volume della Garavaso. Volume che risulta in ogni caso molto apprezzabile, soprattutto perché introduce tematiche molto interessanti e ampiamente diffuse oltre oceano (e anche oltre Manica), ma praticamente assenti dal dibattito continentale (e in particolare da quello italiano).
Il libro è diviso in tre parti, di cui le prime due forniscono la premessa "storica" al vero tema del libro, che è costituito dalle critiche rivolte contro il platonismo (o realismo) negli ultimi trent'anni, soprattutto, ma non solo, dalla concezione empirista. Il compito della premessa è di tratteggiare, nelle posizioni di alcuni personaggi di spicco, le caratteristiche fondamentali del platonismo (Platone, ovviamente, e Frege), del costruttivismo (Kant e Brouwer) e di una terza posizione che comprende, in un'unione talvolta un po' discutibile, formalismo, nominalismo ed empirismo (Mill e Hilbert).
Una riproposizione in chiave strutturalista (il che dà ragione del sottotitolo del volume) della concezione milliana, avanzata negli anni ottanta da Glenn Kessler e Philip Kitcher, è il primo tema affrontato nella terza parte del volume. In questa riproposizione l'empirismo matematico di Mill viene sviluppato nell'idea secondo cui "il mondo possiede in sé strutture che permettono le varie scomposizioni e ricomposizioni che risultano dalle nostre operazioni matematiche (...) L'aritmetica concerne i possibili raggruppamenti che la natura articolata e frammentaria degli oggetti fisici ci permette di compiere". Così reimpostato, l'empirismo sarebbe in grado di sottrarsi alle critiche già rivolte da Frege a Mill, pur salvaguardando il carattere a posteriori dei giudizi matematici: "Gli enunciati matematici veri descrivono proprietà strutturali della realtà che hanno innumerevoli realizzazioni concrete, non entità astratte che incorporano tali strutture".
Il secondo protagonista della terza parte è costituito dalle obiezioni ontologiche ed epistemologiche sollevate contro il platonismo da Paul Benacerraf in due famosi articoli: "What Numbers Could Not Be", del 1965, e "Mathematical Truth", del 1973. Un rapidissimo cenno alle prime: poiché nessuna entità astratta può entrare in relazioni causali con soggetti conoscenti, accettare il platonismo ci obbliga quanto meno ad abbandonare l'idea che la semantica tarskiana standard sia adeguata per gli enunciati matematici. Nel senso che la semantica sulla cui base giudichiamo della verità o meno dell'enunciato "Ci sono almeno tre grandi città più antiche di New York" non può funzionare anche per un enunciato come "Ci sono almeno tre numeri perfetti".
Qualche affermazione e qualche passaggio argomentativo non è forse del tutto convincente, ma più che su questo vorrei richiamare l'attenzione su alcune stravaganze linguistiche (nel timore che vadano ad arricchire il già corposo "italiese"). Tre esempi fra i tanti: a pagina 41 si parla di una giustificazione per "mantenere" ["to maintain* = sostenere] che una certa proposizione è vera; e subito dopo si parla delle proposizioni "sulle quali dipende" ["to depend on*] l'ammissibilità delle definizioni. A pagina 43 si dice che gli enunciati analitici non "provvedono" ["to provide" = fornire] alcuna informazione fattuale.
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