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Come detto dagli stessi autori il titolo dovrebbe essere "gli errori del neo darwinismo", che è un po' diverso come concetto. Il libro è molto specifico e difficile da seguire a tratti se non si è competenti. La cosa peggiore però è la ridondanza e il come non si arrivi (a mio avviso) a una conclusione.
L'ho comprato perché sono stato attratto dal titolo e dal tema. Me ne sono un po' pentito verso la fine: il linguaggio è settoriale a tratti e lo stile è ridondante, spesso dispersivo ed ermetico. Tipico dei filosofi, ho pensato. In ogni caso, per chi avesse pazienza e tempo, lo consiglio, anche se sono convinto che sia adatto a un pubblico piuttosto ferrato in materia. In ogni caso le citazioni e le fonti sono ottime. Però in certi punti...che noia!
Recensioni
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Voleva essere un sasso nello stagno della peraltro mai cheta pubblicistica evoluzionistica, e così è stato. Gli errori di Darwin, a firma degli scienziati cognitivi Jerry Fodor e Massimo Piattelli Palmarini, ha ottenuto polemiche, visibilità e preannunciate lusinghiere vendite.
L'attacco prende le mosse da scoperte interessanti della ricerca in corso: i geni "architetti" altamente conservati che dettano lo sviluppo, i limiti interni della variazione, l'epigenetica, il ruolo dei vincoli strutturali. Se per molti biologi la teoria darwiniana non ha bisogno di sostanziali revisioni, per altri come a suo tempo il paleontologo Stephen J. Gould la rilevanza di questi filoni di indagine annuncia una "teoria evoluzionistica estesa", ancora pienamente darwiniana nel suo nucleo, ma riformata e allargata. Secondo l'ipotesi radicale di Fodor e di Piattelli Palmarini, invece, oggi il "neodarwinismo" sarebbe già tramontato.
Le forme organiche sarebbero infatti generate "dall'interno" per effetto di vincoli di sviluppo, di filtri alla variazione, di principi fisico-chimici che producono conformazioni ottimali e non dalle pressioni "esterne", cioè ecologiche, della selezione. La natura sarebbe ricolma degli effetti collaterali non adattativi generati dalle "leggi della forma" e dall'autorganizzazione biologica. Ma è fondato trarre da questa miscellanea di dati eterogenei la cui interpretazione viene spesso forzata la conclusione secondo cui il neodarwinismo sarebbe fatalmente malato?
Secondo la schiacciante maggioranza dei ricercatori sul campo non è così, come testimoniano le ruvide recensioni negative apparse nelle sedi più accreditate, come «Nature» del 18 marzo (Massimo Pigliucci) e «Science» del 7 maggio (Douglas J. Futuyma), accompagnate da molte altre testate autorevoli e da analoghe bocciature da parte dei nostri maggiori esperti di evoluzione (fra gli altri, Guido Barbujani, Luigi Luca Cavalli Sforza, Giorgio Manzi). L'attacco è ritenuto infondato perché i fattori strutturali integrano, e non sostituiscono, le spiegazioni basate sulla fitness darwiniana. È fuori discussione che la selezione debba rispettare le basi fisico-chimiche del vivente e che la speciazione possa avvenire in molti modi e tempi, ma in accordo con la continuità dei meccanismi neodarwiniani. Gli effetti secondari sono pur sempre trascinati da tratti selezionati. Non solo, esistono processi fondamentali di tipo non selettivo, come le derive genetiche, e non fa più scandalo dire che in natura non tutto è adattamento: insomma, la selezione non è omnipervasiva, ma ciò non implica che essa sia diventata un'attrice marginale. Gli autori (che hanno risposto alle stroncature guadagnando altro spazio ma senza aggiungere nuovi argomenti) sembrano scagliarsi perciò non contro il neodarwinismo reale, ma contro una sua caricatura usata come "spauracchio".
Tutte le teorie scientifiche vengono aggiornate, senza ortodossie di sorta, ma la trasformazione può avvenire per un rovesciamento da parte di una teoria rivale o attraverso una più graduale integrazione. Per distinguere le due situazioni esistono criteri epistemologici ed empirici affidabili. Perché vi sia teoria alternativa (e non più darwiniana) i fattori interni e non selettivi dovrebbero essere così potenti da render conto di tutti gli innumerevoli fenomeni che la teoria esistente sa spiegare, dovrebbero predire fatti nuovi e raggiungere entrambi questi obiettivi adottando principi esplicativi non riducibili a quelli neodarwiniani: una triplice e ardua sfida che la proposta dei due autori è lontana dal cogliere.
Un punto debole del libro è infatti l'assenza ammessa a più riprese di una teoria alternativa. Così leggiamo che la selezione naturale non sarebbe capace di spiegare l'origine di strutture complesse, musica per le orecchie di taluni creazionisti italiani che hanno salutato con malriposto favore l'affermazione. Si tratta però di un richiamo a casi per i quali spesso spiegazioni esistono già, e ampiamente corroborate. Ma, soprattutto, non si dice come queste strutture possano essersi evolute altrimenti, se non attraverso la molteplicità di processi e di meccanismi (non solo selettivi) previsti dall'attuale teoria evoluzionistica. Che il becco del picchio e il sonar del pipistrello siano proprio così soltanto a causa di loro vincoli interni e poi, guarda caso, assolvano anche a una funzione adattativa in un certo contesto, sembra proprio qualcosa di più di una correlazione fortunata. È significativo che i più importanti esperti di biologia evoluzionistica dello sviluppo, come Alessandro Minelli, abbiano cortesemente smentito questa interpretazione radicalmente anti-darwiniana delle loro stesse scoperte sui vincoli interni della morfogenesi.
Nel libro domina la pars destruens. Gli "errori dei neodarwinisti" ma non certo di Darwin, il quale, al contrario di quanto il titolo lascia supporre, offrì dell'evoluzione una spiegazione pluralista e flessibile deriverebbero dall'aver inteso la selezione e l'adattamento come leggi universali, e inconfessabilmente finalistiche. E qui si annida la debolezza finale del ragionamento. Dato che la selezione naturale non soddisfa criteri di universalità e di predittività quantitativa stretta come è normale che sia, essendo una spiegazione di carattere storico e contestuale allora il neodarwinismo non avrebbe lo status di una teoria scientifica al pari della fisica, essendo poco più di una raccolta di racconti e di scenari. Non c'è teoria alternativa, quindi, perché dell'evoluzione non può esservi "teoria" tout court.
La fallacia dell'argomentazione è doppia. Innanzitutto, da decenni la selezione naturale è un processo riproducibile in laboratorio (basti verificare e prevedere l'azione di una pressione selettiva su una popolazione di batteri per molte generazioni) e oggi i suoi effetti sono prevedibili anche in natura grazie alla convergenza di dati molecolari ed ecologici (si pensi agli studi trentennali dei coniugi Peter e Rosemary Grant alle Galápagos). Inoltre, pensare che sia "scientifica" soltanto una spiegazione che ricorra a leggi universali nel senso forte presupposto dagli autori è un'esigenza restrittiva da tempo superata. Può benissimo sussistere una spiegazione scientifica di fenomeni storici e contingenti, ricorrendo a modelli, a inferenze e a una pluralità di pattern e fattori la cui incidenza può essere misurata, prevista e discriminata statisticamente per intere classi di tratti.
Quanto al malcelato finalismo di alcune spiegazioni evoluzionistiche, è una critica corretta ma da considerarsi acquisita. Il libro evidenzia giustamente l'infondatezza di quell'"adattazionismo" caricaturale che alcuni storici e filosofi (raramente i biologi sul campo) vorrebbero applicare a ogni campo dello scibile umano, compresi gli orientamenti politici. Ma l'obiettivo polemico del libro passa dagli eccessi di una certa psicologia evoluzionistica di maniera all'intera logica dell'evoluzione, ed è un peccato, perché se ci si fosse accontentati di smontare la retorica dell'ultradarwinismo da rotocalco si sarebbe reso un utile servizio.
I dibattiti in questo campo subiscono poi l'antipatico destino di dover convivere con un "contorno" indesiderato. Gli autori dedicano l'apertura a una netta presa di distanza da qualsivoglia dottrina del "disegno intelligente", professando il loro ateismo (che però non è condizione necessaria per non essere creazionisti). Il doveroso gesto di chiarezza tradisce il timore che i presunti "errori di Darwin" possano essere strumentalizzati, evenienza che si è puntualmente realizzata anche in Italia, con profluvi di elogi imbarazzanti dalle pagine dell'integralismo religioso nostrano. Ancora una volta, quindi, impariamo che la cecità ideologica può sviare la mente a tal punto da indurre in divertenti autogol, poiché qualsiasi osservatore competente nota che la visione strutturalista e fisicalista contenuta nel libro sarebbe altrettanto integralmente naturalistica, e persino più meccanicistica, di quella darwiniana. Ipnotizzati da quel titolo, certi ansimanti recensori sarebbero pronti a cadere dalla padella nella brace pur di vedere celebrati al più presto i funerali scientifici del naturalista inglese. Ma anche per questa volta l'appuntamento è rinviato.
Telmo Pievani
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