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L'educazione civica fu introdotta nella scuola italiana nel 1958 dal ministro dell'Istruzione Aldo Moro, e venne eliminata dal curricolo quarant'anni dopo con la riforma Berlinguer; quando l'autonomia scolastica permetteva ai docenti di sviluppare progetti di educazione alla legalità, alla cittadinanza o comunque rispondenti alle esigenze del momento. Ora la ministra Gelmini ha deciso di ripristinare l'educazione civica come materia curricolare con voto, e sembra credere che tale ritorno al passato, insieme con il grembiulino e il voto di condotta, possa risolvere alla radice i problemi di indisciplina, di bullismo e anche di diseducazione stradale. Ma i progetti di educazione alla legalità e alla cittadinanza si faranno ancora in una struttura così rigida? O verrà annullata la creatività dei docenti e la loro capacità di coinvolgere gli studenti in esperienze di autentica cittadinanza?
Il volume di Luigina Mortari, con i contributi di Francesco Tonucci, Donata Fabbri, Massimiliano Tarozzi e Luca Fazzi, va in una direzione del tutto diversa: chiede creatività, attenzione al contesto, sensibilità e capacità progettuale. Fra le molte citazioni di maestri del pensiero antichi e moderni che arricchiscono il testo basterà ricordare Socrate ("Solo chi riesce a promuovere la virtù del cittadino è capace di educare") e Hannah Arendt ("Per attuare un cambiamento della società bisogna educare le coscienze"). Con tali input anche l'ora di cittadinanza e costituzione può diventare un'opportunità interessante.
Educare alla cittadinanza, argomenta Mortari, significa educare alla politica intesa come "responsabilità condivisa da tutti coloro che appartengono a una comunità", allo scopo di collaborare tutti insieme a costruire la casa comune degli abitanti del pianeta Terra. No a lezioni frontali noiose, no a una formazione rinchiusa fra le pareti della scuola. Abituare i ragazzi – e abituarsi – a esprimere giudizi su ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, nutrirsi di un pensiero argomentato che non produca e non sia frutto di indottrinamento. Soprattutto, valutare la qualità delle azioni, mettere in discussione, problematizzare, raccontare gli eventi, inventare mondi.
A proposito del mettere in discussione e problematizzare, va osservato che la scuola italiana rende difficile tale pratica in quanto la lezione frontale è tuttora predominante e le interrogazioni mirano più a valutare quanto e come l'allievo abbia assimilato la lezione dell'insegnante che non quanto abbia sviluppato personali capacità critiche. Il conformismo diffuso nel nostro paese nasce anche da qui. L'esercizio del dialogo e del confronto delle opinioni richiede reciproca attenzione e ascolto, porta al rispetto per le differenze e quindi alla creazione nella classe di un clima democratico. Dove non vi è rispetto per le differenze muore la politica. Anche l'arte della persuasione può essere insegnata. L'importante è che si insegni a pensare e a coltivare la passione per la ricerca di dati oggettivi sui quali costruire il discorso e convincere gli ascoltatori, coltivando l'empatia.
Gli studenti, anche i più piccoli, hanno bisogni importanti da esplicitare agli adulti; ascoltandoli si possono modificare le strutture e costruire città più vivibili. Ragazzini undicenni nel progetto "La città dei bambini" hanno chiesto – a Roma, non in un villaggio! – di poter andare a scuola da soli, spiegando che si sentirebbero sicuri se i commercianti, gli artigiani, gli anziani li guardassero passare. Così potrebbero crescere indipendenti e liberi senza la paura del momento in cui nessuno li accompagnerà più.
Nella "progettazione partecipata" i cittadini sono coinvolti in processi di ideazione e di organizzazione di forme, tempi e spazi della vita urbana. È necessario, però, che fin dai primi anni di scuola "si impari facendo" e che gli studenti vengano coinvolti in ogni fase dell'attività di progettazione: dalla discussione iniziale alla pianificazione delle azioni da intraprendere alle realizzazione pratica e infine alla valutazione critica del risultato.
Tocqueville scriveva che il peggior rischio per la democrazia è l'"apatia" dei cittadini. Se riuscissimo a formare i nostri giovani a interessarsi alla politica e a farsi coinvolgere in processi di governance di situazioni locali potremmo sperare di vivere domani in una società meno succube di parole d'ordine e di giudizi di valore resi indiscutibili dai mass media. Ovvero in una società più democratica.
Jole Garuti
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