Il nuovo romanzo di Jacopo Nacci (autore di Tutti carini, Donzelli, 1997) è quasi un condensato del mondo delle idee e delle riflessioni filosofiche che si agitano nel suo interessante blog Yattaran che, in stile otaku, prende il nome dal personaggio un po' in sovrappeso di Capitan Harlock. È un universo complesso in cui, in una sintesi con tratti di genialità, converge la cultura dei telefilm e dei fumetti, del rasfarianesimo e del parkour diffuso nelle culture urbane. Il protagonista è Matteo che, grazie al consumo di un'erba misteriosa proveniente dalla tomba di re Salomone, ha il potere di trasformarsi in Dreadlock, un muscoloso gigante pensante, in grado di incarnare lo spirito trascendente di una grazia elementare. Eppure questa trasformazione superomistica non riesce a incidere nella realtà di una Bologna-Babilonia cupa e multietnica in cui si aggirano studenti fuori corso, la banda dei "laureati" (che indossano le maschere di Eco, Pasolini e Tondelli) e i "destatori", che hanno il compito di ripulire il mondo dal torpore mediatico. Posseduto dal demone-servitore Dreadlock, Matteo compie il suo processo di formazione attraversando una storia d'amore e soprattutto ponendosi nella condizione di osservatore di una città razzista, percorsa dalla comicità sinistra del regime. La mancanza di un esito di salvezza è segnato dalla scansione di capitoli che riecheggiano gli stessi brani storici del roats®gae: "L'ipocrita ha spazzato la strada, la nevrosi esce in parata. Coglie frammenti di volgarità, una caricatura della civiltà, la fregatura, dell'età dei lumi". Per liberare la mente e sentire le vibrazioni che percorrono l'universo, per rendere possibile una resurrezione, l'unione di Matteo con il suo demone è necessaria, anche perché l'immaginario "è l'unica cosa che può raccontare ciò che abbiamo vissuto in questi anni; il senso comune, il senso da bar, è stato collaborazionismo, continuerà a essere menzogna; ciò che hanno spacciato per senso pratico era nichilismo; persino l'ironia ci ha precipitati nel baratro, e la logica, lasciata a se stessa, diventa strumentale". Monica Bardi
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