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Luperini, Romano, Il dialogo e il conflitto. Per un'ermeneutica materialistica, Laterza , 1999
Luperini, Romano, Controtempo. Critica e letteratura fra moderno e postmoderno: proposte, polemiche e bilanci di fine secolo, Liguori, 1999
recensioni di Turchetta, G. L'Indice del 2000, n. 03
La teoria della letteratura vive una fase di impasse, di profondo imbarazzo, se non proprio di crisi conclamata. La narratologia, dopo i fasti degli anni sessanta-settanta, segna il passo, e resta quasi sempre inchiodata ben al di qua di un approccio seriamente semantico: basti pensare che non c'è quasi traccia di una teoria del personaggio degna di questo nome, e scusate se è poco. Per quanto riguarda la teoria del testo poetico, dopo l'insuperata summa di Lotman (che risale ormai a trent'anni fa), non si è visto quasi nulla: un fatto, a pensarci bene, quasi stupefacente, che dovrebbe destare un certo turbamento in ogni studioso. Le cause di questa situazione sono ad ogni modo piuttosto chiare. In sintesi, i troppo facili entusiasmi dello scientismo strutturalista, cioè di un'epistemologia ingenuamente oggettivista, sono crollati da un pezzo, e d'altra parte le strade teoriche oggi praticabili sono probabilmente molto più interessanti ma anche scomode, tortuose: comunque non c'è verso di illudersi di poter trovare da qualche parte la formula magica "che mondi possa aprirti". Fatto sta che molti letterati italiani danno l'impressione di confondere questa specifica crisi della teoria con una rilegittimazione dei sereni godimenti dell'impressionismo e del rapsodismo, che del resto non avevano mai smesso di rimpiangere e praticare.
Per fortuna c'è chi, come Romano Luperini, continua a battersi con vigorosa coerenza sia sul fronte della teoria, sia su quello della critica. Ne fanno fede, sin dal sommario, due suoi libri usciti a distanza di pochi mesi nel 1999, Il dialogo e il conflitto (sottotitolo: Per un'ermeneutica materialistica) e Controtempo (sottotitolo: Critica e letteratura fra moderno e postmoderno: proposte, polemiche e bilanci di fine secolo). Entrambi i volumi sono composti da una prima parte di carattere teorico e da una seconda di carattere "applicativo". C'è però una sensibile differenza di accento. Il dialogo e il conflitto ha infatti una più marcata tensione teorica, e non nasconde obiettivi sistematici, in particolare nell'ampio saggio d'apertura, di densità e chiarezza davvero esemplari; la sezione critica è invece poco meno che monografica, visto che è dedicata in gran parte a Montale (segnalerei soprattutto la ricca analisi delle Nuove stanze). In una specie di chiasmo strutturale, Controtempo esibisce, almeno nella prima parte, un'intenzione marcatamente polemica, non senza qualche provocatoria forzatura; segnalerei però, sul piano teorico, almeno l'opportuna rilettura di Gramsci in chiave di moderna ermeneutica. La seconda sezione ha invece un carattere panoramico, dal momento che tocca vari argomenti di letteratura italiana, dalla fine dell'Ottocento (come nell'acuto intervento sulla modernità della Eva verghiana) al Novecento pieno (come nel bel saggio sulla contraddittoria temporalità del Gattopardo), fino alla "post-modernità".
Volendo cercare di ridurre a due formule la posizione di Luperini, si potrebbe dire ch'egli da un lato constata l'eclissi irreversibile della critica "militante", anzitutto per la progressiva sparizione delle sedi materiali in cui esercitarla: ma d'altro canto ritiene (a ragione) che ogni seria operazione critico-interpretativa debba essere consapevolmente "militante". La critica infatti, per quanto marginalizzata e indebolita dallo sviluppo della società e dell'industria culturale, conserva una fondamentale funzione sociale: quella di selezionare e interpretare i testi che meritano di essere trasmessi alla comunità dei lettori presenti e futuri. Il critico deve perciò assumersi fino in fondo le proprie responsabilità, riconoscendo la natura valutativa, e dunque etica e in ultima analisi politica, del proprio lavoro. D'altra parte il critico non può fare a meno della teoria, se vuole provare a essere all'altezza della straordinaria complessità della comunicazione letteraria. Ma non deve mai dimenticare che alla fine l'elaborazione teorica sfocerà fatalmente in un giudizio, che sarà, di necessità, orientato, selettivo, persino, perché no, tendenzioso: ma di una tendenziosità che dovrebbe aspirare al massimo grado di consapevolezza e insieme di verificabilità dei propri criteri. Per questo l'ermeneutica letteraria non può non fondarsi sull'ancoraggio ai testi (per quanto letti senza ingenuità oggettivistiche) e però anche alla tradizione interpretativa, che comunque stabilisce norme e valori intersoggettivamente condivisi, e dunque controllabili. Solo così il critico-teorico, o il teorico-critico potrà evitare le trappole sia di un testualismo falsamente avalutativo, sia di un'ermeneutica letteraria arbitrariamente protesa verso il balenare auratico dell'Essere o della Differenza ontologica: e potrà cogliere, direbbe Jauss, l'"attualità" del testo, ma rispettandone l'ineludibile "alterità". Anche se nessuno possiede teorie e ricette definitive, ci ricorda Luperini, "la ricerca di un significato resta aperta - e necessaria. Conciliarla con il senso della relatività elaborato nel corso del Novecento è l'eredità che il vecchio secolo lascia al nuovo".
(G.T.)
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