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Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2022
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Una lunga panoramica al condizionale: questa è la partenza spiazzante di 'Cose'. Mai avevo incontrato una descrizione di oggetti e azioni di tale originalità. L'uso dei tempi e dei modi verbali catalizza immediatamente l'attenzione e fa meditare sul linguaggio, sulla struttura, sullo stile di questo testo prima ancora di entrare nella storia. Si accende la curiosità di capirne gli ingranaggi, di scoprirne la logica, lo schema e svelare la mente acuta che li ha generati. Perec sta dietro a tutto questo con la sua macchina da presa e mette in atto una regia sapiente, lungimirante e geniale. Consigliato.
Non credo che esita niente di meglio per comprendere la controcultura degli anni sessanta, i suoi slanci, i suoi paradossi e le sue sconfitte. Perec è come sempre illuminante e lo fa con una scrittura induttiva meravigliosa. L'incipit, con la descrizione di un abitazione da sogno, ti strega: divorato in un giorno. Imperdibile.
Pochi libri come questo riescono a descrivere in maniera incisiva e spietata i tempi nei quali viviamo, popolati da uomini e donne colte ma progressivamente ricondotti ad una totale dipendenza da modelli esterni. I protagonisti di questo romanzo dello straordinario scrittore francese non scelgono mai ma "vengono scelti" dagli oggetti, veri e propri status symbol che scandiscono il lento percorso verso un'illusoria progressione sociale. Un mondo di abiti, mobili, le "cose" che ci definiscono, ma nel quale, come viene detto nelle ultime righe "il pasto che viene fornito è francamente insipido".
Recensioni
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È una storia degli anni sessanta: Jerôme e Sylvie, vivono una boheme presa a prestito in piccoli appartamenti parigini, fatta di feste e film in bianco e nero, di pranzi i cui bislacchi assortimenti mascherano soltanto l'economicità degli ingredienti: vogliono essere ricchi perché si sentono nati per esserlo, sono certi che la ricchezza arriverà così, naturalmente, come a un certo punto spuntano i primi baffi. Nel frattempo si occupano di sondaggi, di indagini di mercato, di pubblicità: attraversano gli scenari della merce e della società dello spettacolo tenendo come bussola soltanto il loro desiderio, il loro sogno di agiatezza. Alla fine ce la faranno e non ce la faranno: troveranno finalmente un impiego fisso ben pagato, indosseranno le camicie di seta che prima desideravano, viaggeranno in prima classe e si siederanno al vagone ristorante: "Ma il pasto che gli verrà servito sarà francamente insipido".
Le Cose, il primo e fortunato romanzo di Georges Perec, si apre e si chiude su due citazioni. L'ultima, di Karl Marx, viene a Perec da un articolo di Ejzenstejn e, nonostante l'incomprensione e lo scetticismo con cui venne guardata nel formicolante clima politico della metà degli anni sessanta, ha a che fare molto più con la forma e la letteratura che non con il capitale e la reificazione. Marx, e il feticismo della merce da lui individuato, stanno certo alla base del libro, che di fatto è, come aveva notato uno dei suoi primi lettori, che pure aveva sottomano una redazione embrionale, "un romanzo, una storia sulla povertà inestricabilmente legata all'immagine della ricchezza". Sono parole di Roland Barthes, che con i suoi Miti d'oggi viene riconosciuto dallo stesso Perec come uno dei quattro "padri" delle cose: gli altri sono Flaubert, Paul Nizan (quello critico e militante di La cospirazione, non quello lirico e incendiariodi Aden Arabia) e Robert Antelme. La storia della complessa gestazione di Le cose è raccontata da Andrea Canobbio nella sua bella prefazione: non è certo l'ultimo motivo per rallegrarsi di questa nuova edizione einaudiana, che rimette all'onore dei cataloghi anche la versione (riveduta dall'autrice) di Leonella Prato Caruso, la stessa che tradusse il libro nel 1966. Canobbio si intrattiene a lungo sui rapporti tra il libro di Perec e i suoi quattro ispiratori; del resto, che l'autore di Il naturale disordine delle cose fosse particolarmente consentaneo a quello di La vita istruzioni per l'uso lo si evinceva già dall'incipit marcatamente perecchiano del primo romanzo di Canobbio, Vasi cinesi (Einaudi, 1989).
La citazione che apre il libro ci consente di rimescolare un poco le carte in tavola: è in inglese e proviene da Sotto il vulcano di Malcolm Lowry, che fu sempre tra i libri prediletti di Perec.; racconta enfaticamente le magnifiche sorti e progressive dell'umanità e della tecnologia; Perec l'aveva già impiegata come epigrafe in un articolo del 1963 sulla fantascienza, apparso sulla rivista "Partisans". In quell'articolo Perec analizza alcuni romanzi americani di fantascienza appena tradotti in francese, e uno di essi è I mercanti dello spazio di Frederick Pohl e Cyril. M. Kornbluth, tradotto anche da noi per "Urania" (1962). È la storia di un pubblicitario che deve creare una campagna volta a convincere gli umani a emigrare su Venere per risolvere i problemi di sovrappopolamento: il suo compito è dunque quello di creare nuovi bisogni e nuove soddisfazioni attraverso le merci che trasformino l'inospitale pianeta alieno in uno status symbol, in una meta agognata. Deve creare, in altre parole, una nuova immagine di ricchezza., concorrenziale a tutte quelle che già stanno in agguato in un presente immanente che, al solito, la science fiction traveste da futuro remoto. Alcune citazioni sono palmari: se Jerôme, all'inizio del libro scopre "la magistrale gerarchia delle scarpe, che va dalle Church alle Weston, dalle Weston alle Bunting e dalle Bunting alle Loeb", ecco che invece il pubblicitario Courtenay dei Mercanti dello spazio acquista dei biscotti Crunchies: "I Crunchies mi procuravano dei sintomi che riuscivo a tacitare solo con altre due razioni di Popsie. E l'acqua mi procurava dei sintomi che solo una sigaretta Starr poteva domare. La Starr mi faceva venir voglia di altri Crunchies...".
Certo non si vuole ridurre Perec a un plagiario, né sarebbe possibile vista la cultura onnipervasiva, tentacolare, splendidamente ricettiva che gli ha consentito di scrivere La vita istruzioni per l'uso; ma, accanto ai quattro padri nobili di Le cose possiamo fare spazio a questo cugino americano impertinente e un poco chiassoso che è I mercanti dello spazio. Del resto, era il parfum du temps. Erano gli anni delle lezioni di Lefebvre e della riscoperta del giovane Lukács, della Nouvelle Vague (Godard inserirà uno scoperto détournement di Le cose in Masculin féminin, 1965) e dell'Internazionale Situazionista (che definirà sprezzantemente Perec come "le consommateur des choses"). Come si diceva, è una storia degli anni sessanta: ma a ripercorrerne le pagine si stenta a crederlo.
Luca Bianco
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