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No, questo libro non mi è piaciuto e non lo consiglio di leggere. la trama non è male, ma la scrittura, lo stile è troppo troppo noioso.
Recensioni
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Cilento, Antonella, Il cielo capovolto, Avagliano, 2000
Bonvicini, Caterina, Penelope per gioco, Einaudi , 2000
recensioni di Vittori, M.V. L'Indice del 2000, n. 11
Ci sono dei romanzi diversi tra loro, scritti per diverse ragioni espressive, che partono da punti lontani, e che tuttavia sembrano convergere a una sorta di appuntamento. È questo il caso, mi sembra, de Il cielo capovolto di Antonella Cilento e di Penelope per gioco di Caterina Bonvicini.
Pubblicati a breve distanza l'uno dall'altro, segnano il debutto di due giovani autrici, vicine anche anagraficamente (l'una è del 1970, l'altra del 1974). Ambedue si calano nei costumi di un tempo remoto (Cinquecento e Settecento) per rendere il colore e il sapore di un'epoca; ambedue narrano di pittori realmente esistiti e/o inventati, di vedute paesaggistiche, di corti sfarzose e pidocchiose, di vite bizzarre e irregolari. Comune base di partenza è il mondo dell'arte. È intorno a un famoso quadro di Bruegel Caduta di Icaro che si snoda il primo racconto di Antonella Cilento.Icaro che vola da una scogliera è Eranio, bellissimo giovane vittima della gelosia del pittore Joaquin, e Peter Bruegel, che era stato amato dal giovane ed è ora testimone impotente della sua morte, non può far altro che tributargli un ultimo omaggio attraverso l'arte. Ed è ancora da un quadro, stavolta del pittore tedesco Philippe Hackert, che nasce nelle due sorelle francesi Felicine e Celestine il forte desiderio di conoscere l'Italia e di compiere un viaggio che per loro si rivelerà fatale (nel racconto Grand Tour).
Anche Lady Penelope Plumington, la pittrice che anima il romanzo di Bonvicini, s'avventura in questo viaggio che è di formazione artistica e sentimentale al tempo stesso. Altra curiosa analogia tra i percorsi narrativi di queste due storie: il soggiorno a Napoli, presso la pittoresca corte di Ferdinando IV e Carolina.La osserviamo in Grand Tour attraverso lo sguardo malizioso di Aernestine Hackert, nipote del pittore e dama di corte, e impariamo a conoscerla dalle lettere non meno maliziose e spregiudicate che Lady Penelope invia all'abate Cardarelli, suo amico. Ma oltre ai reali borbonici, diversi artisti, scrittori, intellettuali affollano le pagine di queste storie: in primis Bruegel e Hackert, come si è già visto, ma anche Mary Wortley Montagu, Francesco Algarotti, Henry Füssli, comparse di lusso che valgono a conferire maggiore credibilità ai personaggi di fantasia.
Ed è proprio qui, nel sottile crinale tra verosimile e fantastico, che fortemente divergono gli itinerari delle due opere: nei racconti di Cilento le vicende sono presentate in maniera univoca, di modo che il lettore sappia subito di trovarsi in territorio interamente fantastico, sia pure ammantato di verosimiglianza, mentre nel romanzo di Bonvicini le prospettive vengono sovrapposte fino all'ultima pagina. Il motivo è presto spiegato: in Penelope per gioco entra in ballo quella contemporaneità che era esclusa dalle altre storie.Che cosa succede in questo romanzo? Succede che l'epistolario di Penelope Plumington, pittrice del '700 pressocché sconosciuta e per questo più affascinante, viene spedito da una misteriosa persona che si fa chiamare con questo nome a un giovane studioso italiano, Stefano Leonardi. Questi ne rimane colpito a tal punto da intessere intorno ad esso la sua tela di ricerca e di scrittura, nonché di vita vissuta.
All'epistolario di Penelope e all'opera che Stefano sta scrivendo su di lei si alternano le e-mail che lo studioso invia quotidianamente alla sua Penny virtuale: e attraverso l'alternarsi dei piani narrativi assistiamo al sovrapporsi della vita di Penelope (nel 1700) a quella di Stefano (nel 2000). Se Penelope ha compiuto il suo Grand Tour in Italia, Stefano lo fa nel novello Paese delle Meraviglie, New York; e se la fanciulla si è stupita di fronte a pittori estrosi, re scostumati e foschi avventurieri, lui strabilia di fronte a ragazze trasformiste, Lolite undicenni, miliardarie megalomani. Se c'è qualcosa di comune a questi due mondi è la loro dispersività, la loro sostanziale irrealtà: ma attenzione, un'irrealtà sostanziata di mille brulicanti particolari.
Ed è anche qui, nel versante espressivo, che si coglie l'ultima decisiva differenza tra le opere delle due autrici: se la scrittura di Cilento sfrutta le più tradizionali suggestioni pittoriche (il contrasto di luce e ombra, un sapiente gioco di sfumature), quella di Bonvicini è improntata al gusto forte e beffardo degli "scarabocchi" e della Pop Art, e se la prima prova a ricomporre con la discrezione delle tinte un equilibrio turbato dalle passioni, la seconda vuole negare, con l'insopprimibile fioritura di dettagli in continua trasformazione, ogni illusione di stabile realtà (compresa quella delle passioni).
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