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Murakami è uno degli autori contemporanei che più amo, e ogni volta che mi avvicino ad un suo libro mi sembra di vivere un’esperienza unica, di entrare in quel suo mondo in cui realtà e sogno si fondono in modo straordinario. Purtroppo, con L’assassinio del commendatore non è andata così. Fin dalle prime pagine, lo stile di Murakami è inconfondibile: metafore suggestive, atmosfere oniriche, la sua tipica “malinconia “. L’immedesimazione nei suoi personaggi è sempre immediata, e c’è quella sensazione di trovarsi in un sogno che sembra incredibilmente reale. In questo libro, man mano che la lettura prosegue, la magia comincia a sgretolarsi. La trama, che parte con una premessa intrigante, finisce per diventare sempre più forzata. Murakami stavolta non riesce a gestire il confine tra sogno e realtà: mentre in altri suoi libri queste due dimensioni si intrecciano alla perfezione, qui rimangono troppo separate, e il risultato è una sensazione di disorientamento. Non si ha mai la possibilità di vivere completamente in uno dei due mondi, e il coinvolgimento ne risente. Le digressioni, che spesso nei suoi romanzi arricchiscono la narrazione, qui mi sono sembrate artificiose. Sembra che Murakami stia cercando di riempire degli spazi vuoti, ma senza riuscire a costruire un legame autentico con la trama principale. A mio parere, il libro avrebbe potuto essere ridotto di almeno un paio di centinaia di pagine, eliminando molte di queste deviazioni che appesantiscono la lettura senza aggiungere valore. Detto ciò, nonostante tutto, la scrittura di Murakami ha sempre la sua forza. Ci sono passaggi che rimangono impressi, ma L’assassinio del commendatore non è, purtroppo, uno dei suoi migliori lavori. Resta comunque un libro che, per chi è fan del suo stile ed ha molta pazienza, vale la pena leggere, anche se non raggiunge la magia dei suoi romanzi più riusciti.
Libro bellissimo coinvolgente ed emozionante fino alla fine! Straordinario!
Eccezionale per come è scritto e ancor più per come è stato tradotto. Quanto al contenuto non è forse vero che un animo inquieto non possa oscillare tra sogno e realtà?
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