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Appunti da un bordello turco - Philip Ó Ceallaigh - copertina
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Appunti da un bordello turco

Descrizione


"Appunti da un bordello turco" segna un duplice esordio: quello di Philip Ó Ceallaigh, uno scrittore irlandese giramondo e votato alla missione della short story, e quello di Racconti, una casa per i racconti. Entrambi raminghi sinora, si spera che finalmente possano trovare una sistemazione e mettere su famiglia. Riesce difficile immaginare un altro libro con cui sarebbe potuta partire quest'avventura. Un libro sul mondo e sui suoi margini più estremi: fra Turchia, Romania, Stati Uniti; in diroccate palazzine sovietiche, fra strade sconquassate e inquinate dallo smog, o in mezzo a una natura ostile che sembra volersi riprendere quello spazio che gli esseri umani, violandola, le hanno negato. Un mondo di cinici solitari attrezzati a far fronte alle brutture della società, di sradicati che hanno scordato i rudimenti per stare al mondo e di esploratori alla ricerca di un angolo dove essere finalmente soli, immersi come sono in un perverso gioco dell'oca in cui devono sempre ricominciare da zero i loro percorsi. Filosofi inconsapevoli, ragionano sul male come dei Dostoevskij umiliati e offesi e come Camus dei bassifondi prendono coscienza dell'Assurdo. Diciannove racconti attraversati da un senso dell'umorismo corrosivo e da un'ineguagliabile capacità di rivelare la contraddizione.
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Dettagli

2016
19 maggio 2016
343 p., Brossura
9788899767006

Voce della critica

(…) Philip Ó Ceallaigh, di origine irlandese, classe 1969, risiede a Bucarest e ha vissuto in molti luoghi: nell’Europa dell’Est, negli USA, in Spagna e in Russia. Anche le diciannove storie contenute in Appunti da un bordello turco costituiscono un viaggio, una forma di esplorazione di realtà differenti ma accomunate da una stessa caratteristica: la marginalità. che si tratti di Bob e Mary in America, Radu e Andrei in Romania o Yakup e Sabila in Turchia, le esistenze dei personaggi sono contraddistinte da un senso di profonda solitudine. A dispetto del titolo, la maggior parte delle vicende  è ambientata in Romania, in quartieri urbani periferici. Si tratta di microcosmi fatti di condomini fatiscenti, piazzali abbandonati e ricoperti di cocci di vetro, teste di bambole di plastica dagli occhi azzurri per terra, muri decrepiti. (…)

Nemmeno le partenze e le fughe sono possibili: in sintonia con lo spirito dei dublinesi di Joyce, i personaggi di Ó Ceallaigh non riescono a cambiare la loro vita. È il caso di un aspirante scrittore che, in Camminando verso il Danubio, dopo aver compiuto una fuga a contatto con la natura, fa ritorno alla sua stanza semi-vuota al nono piano in città. Nulla è cambiato: un senso di immobilità pervade ogni cosa e si insinua dentro lo spirito, ammutolito dalla nuda realtà. È proprio un’osservazione del protagonista a esemplificare la condizione di chi abita quest’universo malconcio: “S’impara a domare il soffio dell’anima, a diventare sordi al suo richiamo, e questa violenza contro di sé è ciò che viene comunemente detto sanità mentale, perlomeno nei posti dove ho vissuto io”.

Nessuno trova scampo in questi racconti (il cui stile ad alcuni ricorda Hemingway), che evitano toni melodrammatici grazie all’ironia graffiante dell’autore. È chiaro che Ó Ceallaigh in fondo si diverte nel mostrarci questo purgatorio pullulante di volti a tratti grotteschi, a tratti tragicomici. La forza narrativa di questo libro è offerta da una prosa scabra e di grande espressività al tempo stesso, dotata di vivide immagini che si trattengono nella memoria per la loro precisione e intensità.

Recensione di Elisa Armellino

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