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Una nuova indagine per Rocco Schiavone.
«“Oh Madonna” disse Italo. “Rocco? Hai sangue…” e gli indicò la schiena. Il vicequestore si mise la mano sopra i muscoli lombari e la ritirò inzaccherata. “Oh porca…” ringhiò». - Rien ne va plus
«Capirete chi sono davvero Rocco e il suo fratello Manzini e aspetterete la nuova avventura come se fosse l’amico di cui non si può più fare a meno. Specchio bramoso del nostro scontento». - Bruno Ventavoli, Tuttolibri - La Stampa
Nell’ultima pagina di Rien ne va plus abbiamo lasciato Rocco Schiavone ferito in un lago di sangue. Ora è in ospedale dopo l’intervento di nefroctomia che ha subito, la stessa operazione che ha portato alla morte uno dei ricoverati del reparto, a quanto pare a causa di un errore di trasfusione. Così costretto all’immobilità, di malumore, Rocco comincia ad interessarsi a quel decesso in sala operatoria che ha tutta l’aria di essere l’ennesimo episodio di malasanità. Ma fa presto a capire che non può trattarsi di un errore umano anche perché si è fatto spiegare bene dal primario Filippo Negri le procedure in casi del genere. Per andare a fondo della questione sguinzaglia dal suo letto tutta la squadra, e segue l’andamento delle indagini, a partire dalle informazioni sul morto, Renato Sirchia, un facoltoso imprenditore di salumi della zona, casa sfarzosa, abitudini da ricco, gran lavoratore. Dietro il lusso però si cela una realtà economica disastrosa, la fabbrica è piena di debiti e salta anche fuori una consistente assicurazione sulla vita. Rocco non riesce a stare a guardare e uscito di nascosto dall’ospedale incontra la moglie e il figlio di Sirchia, Lorenzo, fresco di studi aziendali e con idee di conduzione assai diverse da quelle del padre. Le cose però non sono così semplici come appaiono e Schiavone non si fa incantare dalla soluzione più facile. Attorno a lui, le luci del Natale, i neon del reparto (non si sa quali lo deprimano di più), i panettoncini, unico cibo commestibile, gli infermieri comprensivi, il vicino di letto intollerabile e soprattutto i suoi che vanno e vengono incessantemente, lo coprono nelle sue fughe, lo assecondano e non aspettano altro che il vicequestore ritorni in servizio. Soprattutto Antonio Scipioni, che sta sostituendo Rocco ma che è alle prese con situazioni amorose da commedia degli equivoci, le tre donne con cui ha intrecciato relazioni amorose e che era riuscito a non fare mai incontrare, ora rischiano di ritrovarsi tutte e tre ad Aosta. L’unico a potergli dispensare dei consigli è proprio Schiavone.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Bello
Assolutamente da leggere per chi ama Rocco Schiavone.
E' la prima storia che leggo di questo vicequestore, lo stile brillante e a tratti perfino comico mi ha catturato, ne leggerò altri
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
La Squadra-Mobile-che-non-c’è nella Questura di Aosta è formata da un manipolo di poliziotti provenienti da molti angoli d’Italia. Per Antonio Manzini, che l’ha inventata, ha la funzione di un vetrino di microscopio col quale ormai da tempo osserva vizi e virtù, miserie e nobiltà, del Paese. Strana nazione, la nostra, che ha bisogno di “irregolari” come Rocco Schiavone per riparare i torti. Almeno alcuni. Ad esempio, un apparente caso di malasanità che nasconde un omicidio per denaro. A smascherarlo nell’ultima fatica di Manzini, Ah l’amore, l’amore (335 pagine, 15 euro), edito da Sellerio, è proprio la sgangherata squadra investigativa guidata da un vicequestore che fuma marijuana e dribbla le regole come paletti nello slalom gigante, ma ha un fiuto eccezionale e – forse proprio per questo suo fiuto – nessuna voglia di farsi prendere per il naso.
Schiavone è un romanaccio assediato dai fantasmi del suo passato e ora tormentato anche nel fisico dalle ferite riportate durante un conflitto a fuoco. Ricoverato in Chirurgia, ha poco tempo per riposare. E non ha neppure voglia di farlo. S’intesta così l’indagine sulla fine di un imprenditore, morto sotto i ferri per una trasfusione sbagliata. L’errore di sacca crea più di un sospetto al vicequestore che si muove, con il suo solito … tatto, tra corsie e reparti dell’”ospedale malato” dove lui stesso si trova. Sullo sfondo, il fascino della Valle imbiancata alla vigilia di Capodanno: ben presto, però, il candore della neve lascerà spazio al fango.
Antonio Manzini sa animare con ironia e talento un “teatrino” che riesce sempre a incantare i lettori, così come i telespettatori della fortunata serie Rai tratta dai libri dello scrittore e sceneggiatore romano. Per lui, vale la lezione di Giovanni Falcone: segui il denaro e troverai il colpevole. Così, scavando in una montagna di “sterco del diavolo”, Schiavone inchioda i colpevoli del delitto in sala operatoria. Intanto, resiste al rancio ospedaliero mangiando panettone e bevendo caffè. Pasti proibiti, controindicati per altri ma non certo per questo anticonvenzionale personaggio letterario, tra i più riusciti nel panorama del poliziesco italiano nostro contemporaneo.
Recensione di Gerardo Marrone
In Rien ne va plus, sua ultima indagine, avevamo lasciato Rocco Schiavone malamente ferito dopo un conflitto a fuoco destinato però a risolvere il caso.
Ora lo ritroviamo in ospedale, paziente assai impaziente, intento a recuperare le forze dopo l’asportazione di un rene, arrabbiato e insofferente per un vicino di letto rompiscatole, perché il cibo dell’ospedale fa schifo e per di più incapace di leggere i libri che la coinquilina Cecilia – madre del suo protetto, Gabriele – gli ha portato per distrarlo.
Ma neppure in ospedale Schiavone verrà lasciato tranquillo. Nella notte di Natale, l’imprenditore Roberto Sirchia, anche lui finito sotto i ferri per un tumore al rene, muore. Il chirurgo Negri, lo stesso che ha operato Schiavone, viene accusato di negligenza insieme alla sua equipe: a Sirchia, dopo una violenta emorragia scoppiata nel corso dell’intervento, è stato trasfuso sangue del gruppo sbagliato e sebbene la cosa sembri impossibile, il dottor Negri, affranto, accetta il verdetto e si prepara a pagarne le conseguenze.
Non così Schiavone che fin dall’inizio sente puzza di omicidio e decide di scoprire cosa in realtà si nasconda dietro la morte dell’imprenditore e chi l’abbia orchestrata così bene da farla apparire come uno sbaglio del chirurgo.
‘Cui prodest?’ si chiede il vicequestore, a chi poteva giovare la morte del famoso imprenditore dell’industria aostana degli insaccati, con una moglie e un figlio, Lorenzo, acido e aggressivo, che sembra unicamente interessato a ereditare la fabbrica e a incassare una grossa assicurazione sulla vita stipulata dal padre? E che ruolo ha nella vicenda Sonia Colombo, amante da dieci anni del Sirchia dal quale ha anche avuto un figlio? E chi, all’interno dell’ospedale, può aver agito per far morire l’imprenditore sotto i ferri?
Bloccato nel nosocomio di Aosta da una febbre post-operatoria che non accenna a scendere, Schiavone conduce la propria indagine con i soliti metodi al limite della legalità aiutato dai fidi collaboratori: Italo Pierron, Casella, Antonio Scipioni promosso nel frattempo viceispettore, Deruta e D’Intino.
Antonio Manzini mescola come sempre il tono scanzonato dei dialoghi e le situazioni quasi paradossali nelle quali Schiavone viene a trovarsi, con considerazioni e pensieri profondi e malinconici che affollano la mente del vicequestore e dei suoi sottoposti. Mai come stavolta, forse per l’approssimarsi del Capodanno, tutti alle prese con la risoluzione di uno o più problemi legati all’amore, quello passionale o quello spirituale poco importa.
Non mancano inoltre fugaci apparizioni degli amici romani di Schiavone e costanti richiami ai casi precedenti. Come resta costante la presenza di Marina, moglie defunta del vicequestore e sua coscienza buona, che gli appare, ironica e garbata, nei momenti difficili offrendogli immancabilmente una parola ‘nuova’ il cui significato, una volta scoperto, sarà simile a un piccolo indizio per la vita o l’indagine di Rocco Schiavone.
Un bel romanzo giallo ricco di humour quest’ultimo lavoro di Manzini, che non dimentica di affrontare anche argomenti scottanti come sono quelli legati alla mala sanità. Ma soprattutto un’opera corale fatta di esseri umani che soffrono, pasticciano con i sentimenti propri e altrui, si struggono e combattono, non sempre per cercare di migliorarsi. Di sicuro nella speranza di vivere una vita diversa e più ricca. In ogni possibile senso della parola.
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