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Libro imprescindibile in ogni biblioteca privata che si rispetti!
1942. L'Europa è dilaniata dalle violenze della seconda guerra mondiale. Infuria la battaglia di Stalingrado. 1942. Uno scrittore è interamente assorbito dalla stesura di un'opera - "Massa e potere" - che gli costerà ancora anni di fatiche. 24 ottobre 1942. Lo scrittore, Elias Canetti, dona all'amica - e poi amante - Marie-Louise von Motesiczky, nobildonna e pittrice, in occasione del suo compleanno, un manoscritto di poche pagine contenente alcune decine di aforismi, da lui detti "appunti". Pubblicati solo di recente, questi pensieri sparsi rappresentarono per l'autore una sorta di valvola di sfogo e l'inizio di una prassi - quella di alternare il rigore compositivo dell'opera maggiore con la libertà anarchica degli aforismi - per lui assai salutare negli anni a venire. Trattandosi per Canetti delle prime prove in questo genere letterario solo apparentemente facile, gli "Aforismi per Marie-Louise" non possono certo essere considerati un capolavoro, ma sono comunque interessanti perché testimoniano l'avvicinamento a un tipo di scrittura nel quale l'autore si sarebbe poi distinto nei decenni successivi. La seconda parte del volume presenta inoltre un interessante saggio di Jeremy Adler che può essere letto con profitto non solo per meglio intendere gli aforismi, ma anche per un primo avvicinamento generale all'autore. "Nessuno vuole essere la porta." (p. 11) "Nel balbettio si è più vicini all'origine del linguaggio." (p. 15) "La solitudine è un tentativo dell'uomo di collocarsi a un'eguale distanza da tutti i punti viventi dell'universo, perché tutti vogliono divorarlo." (p. 18) "Montò il suo letto in mezzo a due parole, per non perdersi nel sogno." (p. 23) "Sisifo ama il suo masso, perché lo trascina." (p. 28) "Chiunque riderà a guerra finita, sia messo a morte per averla dimenticata con tanta leggerezza." (p. 30)
Breve, forse troppo, ma di quella brevità che scatena gli incendi, o i romantici tagli su una guancia o le rovine di un cuore. Venticinque foglie preziose da cullare nelle tasche del tempo; un uomo in dedica a una donna attraversa, in un flusso di sillabe mai domo, le strade del proprio conflitto e insieme della propria impotenza, vertigini calme e labirinti impossibili, per giungere all'unica stazione ancora degna nelle intemperie delle fatiche a narrare: la semplice consegna dell'amore. "Montò il suo letto in mezzo a due parole, per non perdersi nel sogno". Canetti ha abitato il breve come un continuo percorso di scalini a fuggire da ogni sistematica comprensione della vita, come a placare in sè quella marea instancabile che divora il cuore con domande eccessive, teoremi stantii, logore analisi. E aveva ragione; l'indicibile si abbraccia meglio nel poco, nel granello, nell'ultimo brillio di una coda di stella. "Anche solo per saperne di meno, mi piacerebbe sapere di più"; contraddizione e sorriso, grugno insoddisfatto e carezza di coraggio, queste le note che diffonde questo stupendo quaderno, figlio dell'esilio, della guerra e dell'eterno bisogno di respiro contro i mille tragitti dell'avversione diffusa. Canetti non esita, perché sa e tocca le necessità prime del vivere. "Tutto si può uccidere: una persona, un'opera, un nome e persino un dio, ma non un amore vero". Il lungo saggio di Jeremy Adler completa e allinea benissimo le scaglie del taccuino, dando al testo una cronologia, un contesto e l'ordine del tempo interiore. "Ha così tanti bersagli che non tira nemmeno"; ci resta come sempre l'insoddisfatta felicità che persevera a leggere ogni cosa di quest'autore magnifico, le sue lune, i sui timori, la sua veggenza e i suoi misteri, come in corteo di commossi sforzi a rifiutare e insieme farsi sospingere dall'indicibile oceano delle cose, perché "nel balbettio si è più vicini all'origine del linguaggio".
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