L'età dei comuni è uno dei grandi miti del medioevo italiano e uno dei modelli identitari della libertà d'Italia. Da Constant a Gramsci, da Cattaneo a Salvemini sino alla vivacissima stagione recente di studi, la natura dei reggimenti comunali, il loro rapporto con la democrazia antica e moderna, le ragioni dei loro successi e del loro declino politico hanno infatti rappresentato qualcosa di diverso da un semplice tema storico, proponendosi di volta in volta come modello di inarrivata precocità o esemplare fallimento sulla via della costruzione della democrazia. In questo contesto si colloca A consiglio, di Lorenzo Tanzini: un libro intelligente e problematico, che affronta il complesso tema delle forme medievali della democrazia sottoponendo il quadro della vita politica comunale al vaglio di una analisi sistematica e capillare del significato, delle forme e del mutare di uno dei suoi elementi più significativi, l'assemblea municipale. Tra il XII e il XIV secolo infatti, i cittadini dei comuni partecipano alla vita politica pubblica innanzitutto attraverso l'istituto consiliare, che assume dimensioni, ruoli e forme diversi in rapporto tanto alla società politica, quanto al mobilissimo sistema delle istituzioni, senza rinunciare mai a rivestire un ruolo nella definizione della qualità della costituzione politica della città. In un contesto come quello attuale, in cui le istituzioni delle democrazie parlamentari occidentali vengono sempre più spesso messe seriamente in discussione, Tanzini sottolinea il potenziale interesse di indagare forme di partecipazione pubblica alla vita politica nate e sviluppatesi in contesti diversi, seppur in vario modo legati al patrimonio concettuale occidentale. Intendiamoci, Tanzini lo fa senza forzature e senza ingenuità: non cerca nel medioevo comunale una soluzione allo scollamento fra le modalità novecentesche di organizzazione della vita politica e la realtà contemporanea, ma, al contrario, auspica che le consapevolezze e i dubbi derivati allo studioso contemporaneo dagli sviluppi odierni permettano alla ricerca medievistica di affrontare un tema cruciale come quello della vita politica comunale in modo più fine e prudente, meno ideologico che non in passato. Va da sé che questo processo interpretativo, permette all'autore di "coltivare la speranza che questo serva a qualcosa per affrontare i dubbi del presente". La assemblee cittadine nelle città italiane a reggimento comunale tra XII e XIV secolo sono una costante del mobilissimo quadro istituzionale del comune: Tanzini ne segue gli sviluppi a partire da un ampio ventaglio di fonti costituito da un lato da fonti normative e cronachistiche, dall'altro da fonti documentarie come i registri consiliari. Il suo spoglio include l'intera Italia centro-settentrionale, ponendola alla fine del libro a confronto con altri contesti politici, tradizionalmente visti come simili o lontani rispetto al modello comunale: le città d'oltralpe e l'Italia meridionale. L'analisi procede secondo un andamento cronologico : gli esordi, gli sviluppi primoduecenteschi, la grande stagione popolare, la difficile congiuntura trecentesca e l'autunno consiliare nel mutato contesto istituzionale del tardo medioevo. La progressione cronologica conosce una pausa tra terzo e sesto capitolo per analizzare nel dettaglio il funzionamento dei consigli nel pieno Duecento e la dimensione teorica e la rappresentazione simbolica delle assemblee fra Duecento e Trecento. Fra i vari temi importanti trattati da Tanzini, almeno un paio meritano di essere sottolineati. Innanzitutto, la finezza dell'analisi del meccanismo consiliare nel suo mutare nel tempo. I consigli (grandi, grandissimi, ristretti, aperti o chiusi, selezionati o rappresentativi) emergono infatti concretamente come l'arena in cui si esprimono le complesse e talora contraddittorie dinamiche fra i diversi processi della decisione politica (la discussione, la normazione, la ratifica) e la definizione del significato e delle forme della rappresentanza (inclusione, esclusione, selezione), il tutto in un processo contrastato di definizione reciproca con altri protagonisti istituzionali in via di emersione (i consigli ristretti, il podestà, il popolo, i signori). I meccanismi e gli strumenti del confronto politico-sociale (la partecipazione, la parola, la scrittura) affiorano dunque con limpidezza in tutta la loro complessità da un'analisi che non rinuncia all'interpretazione del fenomeno politico per il fatto di collocarsi sapientemente a monte di facili modellizzazioni. In secondo luogo, l'attenzione non soltanto ai meccanismi e ai parametri politico-sociali alla base della definizione dei consigli nei diversi momenti considerati, ma anche alle modalità del discorso politico assembleare. Se è vero che uno dei legati più duraturi della cultura politica italiana medievale e umanistica è il discorso politico ‒ la parola pubblica decantata in scrittura dai Salutati e dai Bruni, dai Machiavelli e dai Guicciardini: si pensi ai classici di Baron o di Witt, rivisitati dalle ricerche recenti di Christopher S. Celenza, The Lost Italian Renaissance (Johns Hopkins University Press, 2004) o di Brian Jeffrey Maxson, The Humanist World of Renaissance Florence (Cambridge University Press, 2014) ‒ allora diventa cruciale indagarne le radici non solo sul versante della trattatistica e del pensiero giuridico, teologico e politico, ma anche nella pratica della discussione politica e della sua verbalizzazione. I consigli sono infatti, dice Tanzini, "l'unico luogo legittimo della parola": ma quale parola? Le dinamiche complesse che condizionano il ruolo politico dei consigli tra XII e XIV secolo infatti portano dapprima a registrare i tempi e i contenuti del confronto consiliare nei registri dei verbali, per poi asciugare sino a fare sparire la parola consiliare a favore di una mera votazione su opzioni dibattute altrove. La discussione come dialogo e dibattito riemerge nel Quattrocento in un'altra forma di confronto ormai molto diverso, la balia di pochi selezionati membri della società politica, o il negoziato diplomatico. Isabella Lazzarini
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