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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2019
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'ultimo romanzo di John Irving mi riporta indietro ai suoi migliori del passato. Come non affezionarsi subito ai piccoli Juan Diego e Lupe, due ragazzini che crescono a fianco di una discarica e rovistano fra i rifiuti. Juan Diego cerca libri, anche rovinati e bruciati, e così impara a leggere in spagnolo e persino in inglese; Lupe cerca pistole ad acqua. La loro madre è una prostituta che arrotonda facendo le pulizie nell'orfanatrofio dei Gesuiti. Il romanzo alterna la narrazione delle vicende legate ai due bambini a quella di Juan Diego ormai adulto, divenuto uno scrittore famoso. E il suo viaggio, per far fede a una promessa fatta da bambino a un giovane americano, è un miscuglio fra gli aneddoti spassosi e i sogni che disvelano verità del passato. Un viaggio che compie in compagnia di due donne, misteriose, carnali ma anche simboliche, che lo accompagnano fino a raggiungere la verità.
L’idea iniziale alla base di un racconto, se buona, è come una locomotiva che guida un suo felice percorso fino alla fine. E qui la trama promette bene: è la storia dei ragazzini diseredati che rovistano tra montagne di spazzatura alla periferia di Oaxaca in Messico. Da questa gigantesca discarica municipale enucleano rame e alluminio, la cui vendita darà loro poche risorse per la sopravvivenza. Da questa collina maleodorante emergono due gemme: Juan Diego (JD) e Lupe. JD ha 14 anni ed è un piccolo genio: salvando libri bruciacchiati dalla discarica impara a leggere prima in spagnolo e poi in inglese. Lupe, la sorellina, ha 13 anni, parla con voce roca in una lingua che solo il fratello sa tradurre, ed è chiaroveggente: legge nella mente di tutti e forse predice anche il loro futuro. Con queste premesse, il romanzo potrebbe avere uno svolgimento oltremodo interessante. Purtroppo Irving, con un salto spazio temporale, fa progredire il racconto da JD che, 40 anni dopo, stabilitosi in Iowa, decide di compiere un viaggio a Manila per recare omaggio a un soldato (di cui non conosce il nome!) sepolto a Manila, in un gigantesco cimitero di guerra. Così il seguito della storia dei due ragazzini di Oaxaca viene ammannito come uno spezzatino, avvolto in carta oleata male olente. Sì perché JD lo rievoca solo mentre dorme (in aereo, in hotel, perfino in cene sociali) e/o mentre piange abbondantemente sul suo passato. Così il povero JD, che è pure divenuto scrittore di grido, fa una figura da allocco: dormiglione e piagnone. E in questo suo viaggio senza senso si fa accompagnare da due pellegrine, madre e figlia, con cui ha sgangherate avventure amorose, che farebbero sbellicare dalle risa se non fossero così penose (ma non poteva leggersi le galanti Memoirs di Casanova?). Sommerso da questo ciarpame, il racconto diventa illeggibile e oltremodo noioso. Peccato: se lo avesse stringato a 300 pagine, invece che a 600, ne sarebbe uscito a testa alta. Un polpettone avvelenato.
Imperdibile fiume d'inchiostro che, tra sogni e speranze di Juan Diego, trascina il lettore nel mondo spietato dell'ambiguità che lo scrittore, protagonista del libro, ha vissuto nella sua giovinezza e che ha affrontato con molta tenacia, uscendo anche da situazioni incresciose.
Recensioni
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Una promessa, un viaggio, la vita, che Irving!
Il cielo benedica e preservi a lungo John Irving, profeta dell’arte di narrare, che non ha smesso di farlo ed è tutt’altro che in disarmo, pur essendo sulla breccia dagli anni Settanta. Sempre a modo suo, tragico e spassoso, sempre coinvolgente. I suoi romanzi, tradotti in trentacinque paesi, sono difficili da mollare, farlo è una tortura, sono di quelli in cui si rallenta molto la lettura nel finale. Eppure, dopo il distacco, sono capaci di restare ancora accanto e dentro chi legge. Succede così anche con il suo quattordicesimo titolo, Viale dei misteri, tradotto da Giuseppina Oneto, edito da Rizzoli.
Irving, più vicino agli ottanta che ai settant’anni, ha raccontato la lunghissima gestazione di questo romanzo (tempi inverosimili per presunti autori di oggi alla catena di montaggio dei libri…) e di come inizialmente fosse stato concepito come sceneggiatura e ambientato principalmente in India e non in Messico. E, scrivendolo, ancora una volta, fa capire come immaginazione e fantasia facciano sempre la differenza in un romanziere (“La vita vera è un modello troppo sciatto perché vi si possa rifare la buona narrativa”, si legge, fra le altre cose): Irving riesce a dosare elementi lirici e strazianti e a far palpitare i lettori, spargendo qua e là, per quelli più fedeli, autocitazioni, con elementi classici del suo repertorio. Messicano di nascita, ma naturalizzato statunitense, del Midwest, lo scrittore Juan Diego Guerrero è l’ultimo eroe di Irving: è uno dei niños de la basura, bimbi della spazzatura, cresce in una discarica, al fianco della sorellina Lupe, sensitiva, una ragazzina capace di pronosticare il futuro, in particolare il proprio, e di leggere nei pensieri altrui. E quell’infanzia – il cui passaggio successivo per i due fratelli è un lavoro da funamboli nel circo Maravilla – lo insegue sempre, nel ricordo e nei sogni, sogni caleidoscopici e vividi, in cui forse c’entrano anche il Viagra e i betabloccanti che smette di assumere…
La centralità d’infanzia e formazione nella vita, il ruolo di sesso e religione (a turno esaltati e sviliti), la letteratura come salvezza (precocissimo lettore è Juan Diego, che legge i libri trovati tra i rifiuti…) sono i cardini tematici di Viale dei Misteri. Amore, desiderio e follia indicano la strada. Guerrero incarna tutto ciò, specie quando si mette in viaggio per le Filippine (destinazione il cimitero americano di Mania) per tenere fede a un solenne impegno preso in Messico con un hippy moribondo, che aveva oltrepassato la frontiera per evitare la guerra in Vietnam. E accanto a Guerrero ci sono personaggi indimenticabili (sebbene considerati marginali e ultimi dal mondo), linfa di un romanzo debordante, impetuoso, picaresco e generosissimo, fino alla magistrale conclusione. Degna di uno scrittore che dovrebbe essere ricordato e celebrato molto più di suoi colleghi troppo cerebrali, troppo lontani dalla vita.
Recensione di Giovanni Leti
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