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Anno edizione: 1996
Anno edizione: 2019
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"Che ne sarà del vento in Paradiso,/ il vento che riporta la memoria"; "Il mio cuore è debole, stasera,/ come il sole che lento risale/ i tetti, e profonde sono le mie colpe;/ ahi! L'uomo, come sempre tramonta"; "Cielo, quel po' che c'è, oggi, di sole,/ un po' dalle tue nuvole, ti prego,/ per il mio freddo lascia trasparire"; "C'è soltanto della pura gioia, nello stridìo/ delle rondini, o anche un fitto/ dolore?"; "Le stanze sono poche: la tua tosse/ erra di stanza in stanza: il mio silenzio/ è ovunque, quieto, strano, come fosse/ lui solo". Sono alcuni dei folgoranti incipit delle poesie che Betocchi (straordinario, schivo, dimenticato poeta toscano di paesaggi, di antichi amori domestici) scrisse nella sua lunga e laboriosa vita. Esistenza non da intellettuale, la sua, ma da capocantiere, vicina agli operai e alla gente modesta, e imbevuta di poesia: studiata, fatta propria e prodotta con gentilezza sapiente, e anche con una grazia quasi francescana, da innamorato della natura e della creazione. Un'anima chiara, indifferente ai richiami del successo letterario, benché frequentasse le riviste e gli scrittori più noti e importanti della sua epoca, e vantasse amicizie profonde con Luzi, Bo, Caproni. Di loro e di altri critici sono riportati in conclusione al volume recensioni affettuose e ammirate. Così ne scrive Pasolini, ad esempio: "poesia piena di pace, verrebbe voglia di dire di benessere...inspiegabilità dovuta a un suo anacronismo...attenzione per le cose...pansensualismo che si identifica col panteismo...assoluto impegno umano...virile tenerezza...ininterrotto sentimento del divino...". E Baldacci: "religiosità creaturale...magico quotidiano...perpetua meraviglia". Infine Zanzotto: "quotidianità e brusca umiltà verso il mondo...sghemba allegria...consolazione e insieme gioia, anche un po' stranita...luce e letizia". Insomma, Carlo Betocchi è tutto da recuperare e rileggere. Pure se ormai si fa fatica a trovarlo, come succede ai poeti veri, e trascurati.
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