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recensione di Moretti, M., L'Indice 1992, n. 9
È una ripresa non strumentale e celebrativa, quella proposta da Sasso di un suo saggio del 1963. Ora rivisto e ampliato, esso accompagna il passaggio della "Cultura" alla casa editrice Il Mulino. Distante dal proposito di comporre la storia di un periodico dalla lunga e non lineare vicenda (un'apposita appendice fornisce i dati esterni riguardanti la rivista), Sasso si sofferma su alcuni motivi e personaggi che ne caratterizzarono l'esistenza. I tratti distintivi, specie delle prime serie, sono in sostanza ricondotti, con un procedimento che ha una sua efficacia sintetica, alle figure dei direttori: da quella del fondatore, Ruggero Bonghi, dalla produzione scientifica non irrilevante, ma dispersa e priva di centro, a quella tutta accademica del suo primo successore Ettore De Ruggiero, a quella infine di Cesare De Lollis, direttore della rivista in varie associazioni dal 1907 al 1913 e poi, con la nuova testata postbellica, dal 1921 al 1928.
De Lollis è forse il vero protagonista, almeno nella dimensione storico-culturale, della ricostruzione di Sasso: in una sorta di contrapposizione a Bonghi, viene sottolineata l'ampiezza dei suoi interessi, "tuttavia, specifici e determinati; non l'indizio di una mente rapsodica, ma il documento di una mente ricca" (p. 64), accanto al rilievo della sua opera storiografica e all'importanza del suo rapporto col nuovo pensiero idealistico, che animò polemiche metodologiche come quelle sul "metodo storico" e sul "comparativismo", alla quale Sasso riserva interessanti riflessioni. Solo a proposito della serie post-delollisiana, dal 1929 al 1935, che Sasso vede contraddistinta da una convivenza di orientamenti intellettuali diversi, con venature crociane e anticrociane, e da un precisarsi in senso "azionista" dell'originario antifascismo di un De Lollis (del comitato direttivo nel 1935, quando la rivista fu soppressa, facevano parte Antonicelli, Bobbio, Cajumi, Pavese, Santoli, Solmi), si accenna a una questione che sarebbe in realtà di gran peso per meglio individuare le peculiarità dell'esperienza della "Cultura", quella dell'indagine sui caratteri dei coevi periodici di cultura e di vita civile; ma non era certo questa la sede per fare i conti con la cultura delle riviste italiane dalla "Rassegna settimanale" alla "Voce", e, nelle pagine conclusive del libro, andranno invece evidenziati l'esame dedicato al breve impegno storiografico di un Domenico Petrini, o le osservazioni sul ruolo, in quegli anni, di Francesco Ruffini. "Storico della cultura, capace di ascoltare le voci e i suoni di una più ricca orchestra" (p.113), Sasso localizza però altrove il centro del proprio impegno critico. Sono da leggere, a questo proposito, le considerazioni su Gentile e il modernismo, e soprattutto quelle relative ad alcuni aspetti della fortuna del pensiero di Croce, all'uso settoriale e parziale di temi e formule "prima che la sua autentica radice filosofica fosse stata individuata e studiata" (p. 30). È qui chiamato in causa uno specifico piano filosofico di discorso, donde le frequenti interferenze fra ambiti e linguaggi analitici differenti, anche se tutt'altro che privi di nessi, che segnano il volume.
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