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Anno edizione: 2017
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Mario Soldati nel suo unico libro che ho letto finora, L'incendio, mi aveva 'tirato dentro' con inaspettato rapimento. Come quando qualcuno ti raggiunge alle spalle, ti si aggancia a braccetto e, senza dire nulla, ti porta con decisione in un luogo famigliare: in un film anni '70 dal passo lento e i colori sbiaditi, magari con un Tognazzi di mezza età. Come nei miei ricordi di bambina che di quei film capiva poco o niente, ma che annovero fra i fatti indelebili della mia esistenza: una specie di imprinting. Con loro viaggio indietro nel tempo: è l'effetto che mi fanno Soldati e questo Piovene visionario che, supportati da una scrittura sopraffina, rendono limpido il fosco. La trama di Le stelle fredde, dal nucleo narrativo surreale con personaggi fantasmatici, è pervasa da sentimento panico e coinvolge lentamente, con qualche effetto speciale. Originale, complesso, sofferto, intimo e profondo.
Il protagonista di Piovene è - tra quelli che ho incontrato leggendo – uno di coloro che meglio hanno saputo rappresentare la complessità delle inquietudini dell’uomo moderno, delle sue domande sul senso della vita, quando questo senso è da cercare dentro un’esistenza fatta di vuoti, di perdite e sconvolgimenti. Quando tutto si spoglia della sua essenza – che siano l’amore, le relazioni, i valori morali, le passioni, ogni gesto quotidiano – è il momento di abdicare e disertare. La sordità immaginaria di questo uomo è una corazza contrapposta al rumore, alla confusione; una cassa di risonanza dentro la quale si amplificano i suoi conflitti e le sue domande esistenziali che prendono il sopravvento sul caos del mondo. In modo silenzioso ma determinato, la sua figura si stacca dalle pareti dell’oggettività, e abbandona una terra popolata da controfigure, carcasse di uomini simulatori, finti, illusi. Non a caso l’istinto lo riporta alle origini della sua esistenza, alle radici delle sue domande, alla casa dell’infanzia. Entra e si chiude in una dimensione incorporea di ancestralità, dove le voci si spengono e a guidarlo è il suo sguardo affidato a una natura dolce e potente, che avvolge la sua solitudine e la trascina in un’esperienza fantastica alla ricerca di risposte, verso incontri inaspettati e straordinari. Un’analisi che non dà spazio a ulteriori illusioni, semmai disillude, non placa le angosce, non fa riemergere dalla solitudine, ma allo stesso tempo concede all’uomo uno sguardo benevolo e commosso. Un finale che apre uno spiraglio senza però liberarci dalla condanna dell’insensatezza del vivere. Piovene, che avevo letto in “Viaggio in Italia”, è stato con “Stelle fredde” un’ulteriore grande scoperta per raffinatezza non solo dello stile ma anche del concepimento del testo e della forza introspettiva del personaggio. Profondo, potente, esigente; un libro dal quale si esce come riemersi dal sottosuolo...
Niente da dire sullo stile: freddo e nervoso, da gran maestro della lingua italiana. Purtroppo le cose non vanno altrettanto bene nel contenuto. Piovene tenta un arduo equilibrio tra romanzo metafisico e psicologico, ma si inoltra in troppe direzioni senza percorrerne fino in fondo nemmeno una, lasciando incompiuto e irrisolto ogni sentiero. Tale indecisione fa sì che quest’opera soffra di un numero eccessivo di parti deboli. Ad esempio, l’apparizione di un Dostoevskij redivivo, o comunque del suo fantasma, risulta un intruso fantastico stridente con la sostanza realistica della rimanente parte del romanzo. Il finale poi (l’incontro con l’innocenza infantile) è risaputo sopra il livello di guardia. Siamo lontani dalla sintesi morbosa delle Lettere di una novizia (purtroppo attualmente disponibile solo nell’usato), dove i sentimenti e le ossessioni dei personaggi trovano un’eco nella dolcezza altrettanto morbosa del paesaggio veneto collinare.
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